Louis C.K.

Louis C.K., l'ultimo bersaglio della crociata sessuofoba

Manuel Peruzzo

Il caso del comico accusato di essersi masturbato davanti a due colleghe rientra nella categoria degli episodi sgradevoli e grotteschi. Ma non vale la distruzione di un'intera carriera professionale

Se non usi internet come fai a masturbarti? In un’intervista dell’anno scorso, il giornalista lo chiede a Louis C.K. il quale risponde che ci vuole più tempo e più immaginazione. Non solo. La domanda non era peregrina. Le voci sul comico che si masturba di fronte alle colleghe e le costringe a guardarlo erano in giro da qualche anno. Gawker lo ha scritto per la prima volta nel 2012 ma fino a oggi le abbiamo volutamente ignorate. Cinque donne hanno confermato in un articolo del New York Times, il che equivale a un processo concluso con verdetto di colpevolezza e ostracismo: gli avranno già preparato il letto nel rehab a cinque stelle in cui sono Weinstein e Spacey. In particolare è riaffiorato un episodio già noto avvenuto anni fa: LCK invita in albergo due colleghe dopo uno spettacolo e chiede loro se può tirarselo fuori, loro ridono e pensano a una tipica battuta, lui lo fa per davvero. Disgustate, lasciano la stanza. Altre decideranno di abbandonare la professione.

 

Louis C.K. is Done”, scrive Matt Zoller Seitz, il quale sostiene che ogni volta che pensiamo a Spacey, Weinstein e LCK dobbiamo ricordarci delle donne che hanno abbandonato la professione per colpa loro. Aggiungiamo pure che se da una scena del genere non ne trai un monologo epocale forse è meglio che ti metti a fare un altro mestiere.

 

“Non stuprate nessuno, a meno che non abbiate una buona ragione”, è una delle tante battute che oggi creano imbarazzo. A riguardare Louie, la serie tv semi-autobiografica, ci si ritrova dozzine di scene che assumono un nuovo livello di lettura, come se nascondessero il desiderio d'essere scoperto. Nella quarta stagione, “Pamela, Part 1,” Pamela Adlon sta dormendo sul divano quando LCK entra nella stanza. La prima cosa che gli dice è: “ti prego di non iniziare a masturbarti, sono sveglia”. Lui cerca di baciarla, lei lo respinge e gli dice: “Potrebbe essere uno stupro se non fossi così stupido. Dio mio, non sei neanche in grado di stuprare”. La storia finisce con Pamela che si innamora di Louie, condonando l'orrore, e questo non piace allo spettatore moralizzatore di oggi. La comicità di Louis C.K. si è sempre spinta al limite, e forse non solo quella.

 

Il dopo Weinstein conta una settantina di uomini accusati di molestie o violenza sessuale. Trevor Noah sostiene che bisognerà istituire una nuova categoria Oscar per i bravi attori i cui film non vedremo più, o uno per le donne che hanno finto tanto a lungo che i colleghi fossero rispettabili (come a dire che non possiamo apprezzare Carnage o Per favore, non mordermi sul collo!  perché Polanski ha assalito una minorenne). Salta la premiere di "I Love You", Daddy del 17 novembre, in cui C.K. interpreta un autore televisivo di dubbia moralità la cui figlia teenager (Chloë Grace Moretz) inizia una relazione con un uomo di cinquant’anni più anziano (John Malkovich). È un omaggio a Manhattan di Woody Allen, il film che oggi non uscirebbe mai perché su internet hanno scritto che è un pedofilo. Pessimo tempismo.

  

Ci sono numerose citazioni esplicite che oggi sono sintomatiche nel lavoro di LCK. Un appuntamento con un uomo è come “immaginare di incontrare un mezzo orso e mezzo leone e dire “Oh, spero che questo sia buono”; o del monologo in cui definisce le donne turiste sessuali mentre gli uomini sono imprigionati dal sesso; o quando usa un’analogia meteorologica per definire le brutte esperienze sessuali di una teenager “la sua vita sarà una costante bufera di cazzi”. Battute e monologhi che un tempo erano applauditi in quanto esponevano in modo brillante le complicate dinamiche tra sessi, i confini tra lecito e illecito, gli equilibri di potere e oggi sono ridotte a confessioni pubbliche di un pervertito.

 

Anni fa LCK disse a Jon Stewart che tra le femministe e i comici c’è una lotta continua “le femministe non sono in grado di capire una battuta, i comici di accettare le critiche”. Qualcuna inizia già a raccontare su Twitter della prima volta che un uomo le si è masturbato di fronte. La piaga del memoir nel femminismo ha come protagonista indiscussa Jessica Valenti, la quale racconta di una vita in cui non può salire sui mezzi pubblici senza trovare un uomo con un’erezione. Giornata rovinata.

 

Nessuna pare preoccuparsi di aggiungere che un uomo che in modo scimmiesco si masturba in pubblico non è una violenza: è grottesco. Uno spettacolo zoofilo di cui ridere con gli amici. Una sgradevolezza superabile e condannabile sulla quale farsi risarcire senza incorrere in narrazioni lesse su Twitter. L’unico modo in cui avere un mondo senza violenza è un mondo dove tutti pensano le stesse cose. È invece possibile moderarla fino a un certo punto: quello entro il quale non uccide la presenza stessa della differenza. È sgradevole vedere genitali controvoglia, ma se la soluzione è uccidere ogni manifestazione del desiderio, distruggere carriere, rivalutare autori o persone, cedere al gossip di branco come processo pubblico, istituire nuove regole di comportamento sempre più restrittive è meglio una sgradevolissima “bufera di cazzi”.