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Quale voto?

Mario Leone

Il vero insegnante non lo riconosci solo nelle ore di lezione, ma soprattutto quando valuta

L’ultima fermata di quel treno scolastico chiamato valutazione è nella provincia di Novara. Dalle umide e ridenti risaie si diffonde la notizia del giovane Davide Tamagnini, novello innovatore del mondo scuola, inventore di un originale metodo (Tamagnini non vuole che si chiami così) per valutare i ragazzi: i colori. Vinto il concorso per la scuola Primaria, è assegnato all’istituto Don G. Ferrari di Varallo Pombia. Da questi banchi inizia la diffusione della sua intuizione, accolta con entusiasmo dal dirigente scolastico e dai colleghi. Si diceva dei colori in pagella: verde se l’obiettivo è stato raggiunto, arancione se c’è ancora del lavoro da fare, rosso se restano delle difficoltà importanti da risolvere, sempre considerando il punto di partenza individuale. Gli alunni del maestro Tamagnini non hanno mai preso un voto durante l’anno scolastico. Solo e soltanto colori.

 

Al di là delle riflessioni specifiche sull’utilità e l’originalità di questo “metodo”, nessuno in verità ha colto l’occasione per interrogarsi su una grande problematica, la valutazione. Quella dei ragazzi, principalmente, ma anche quella di professori e dirigenti. Lo si legge sui giornali; lo si urla nelle cadenti scuole italiane o tra le piazze sindacali: non è giusto valutare i docenti, non è giusto valutare i dirigenti. I criteri non sono chiari. I criteri sono troppo personali. Si arriva anche al “tu non sai chi sono io” di qualche maestro che si crede l’incarnazione di Maria Montessori. L’atto valutativo è rappresentato come un lupo cattivo, come lo strumento di chi detiene il potere e vuole controllare, selezionare, razionalizzare.

 

Valutare significa dare un valore a un fatto. Questo è un gesto che tutti gli esseri dotati di ragione fanno costantemente nell’arco della vita. A volte in maniera inconscia, altre in maniera più consapevole. Altre volte errando. Valutare è un gesto umano. Nel caso della scuola significa accompagnare l’alunno nel cammino dell’apprendimento, nell’acquisizione di un metodo. La valutazione è costruttiva, se mette in luce tutti i fattori: misurabili e non misurabili, ma comunque valutabili, superando una concezione positivista (esiste solo ciò che si misura). Censurare, addolcire o colorare il limite, l’errore, l’insufficienza, non costituisce una vera valutazione e non realizza lo scopo più profondo di questa attività: accompagnare l’alunno nel cammino dell’apprendimento, nell’acquisizione di un metodo. Valutare in maniera fumosa, poco chiara e scarsamente argomentata non favorisce quel cambiamento e quella tensione al perfezionamento peculiari di un vero atto valutativo che così decade in una lenta e inesorabile sterilità. Per valutare bisogna accompagnare, mettersi sulla stessa strada, docente e studente. La valutazione ha assunto forme distorte, a volte aberranti, a causa di alcuni docenti che, persa ogni forma di credibilità e autorevolezza, hanno utilizzato lo strumento valutativo come scafandro a difesa di una palese inadeguatezza umana e intellettuale. Di una malcelata incompetenza e di una gretta rigidità nel mettersi in discussione.

 

La struttura di un docente si rivela non nelle pur decisive ore di spiegazione. L’insegnante, quello vero, lo riconosci quando valuta: può essere un mero gesto formale incastrato tra le innumerevoli incombenze che la scuola prescrive oppure un momento in cui impara l’alunno e, a livelli differenti, impara l’insegnante. La maggior parte dei docenti italiani ha smesso di imparare, per questo non potrà mai realizzare una finalità della scuola tanto cara ad Albert Einstein: insegnare a vivere. Questo è il problema. Cresciamo generazioni disabituate a essere valutate, messe in discussione, provocate. Vogliamo evitare loro e (noi adulti) evitarci il sacrificio che valutare ed essere valutato comporta. Ora, se ai docenti volete dirglielo con un colore perché sembri più dolce e meno perentorio, propongo il nero.

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