LaPresse/Vincenzo Livieri

Così il Lazio ha messo in crisi le scuole paritarie

Nicola Imberti

1.200 istituti rischiano di chiudere per colpa di burocrazia e resistenze culturali

Roma. “Per noi la scuola pubblica si fonda sui due pilastri che sono la scuola statale e la scuola paritaria”. Così parlò il ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli. E sono parole importanti perché pronunciate in un paese che, nonostante secoli di storia, sulla distinzione tra scuola statale e paritaria, ha costruito una delle sue tante battaglie campali. Per Fedeli distinzione non c’è perché l’obiettivo è “investire sull’istruzione per fare un investimento sul paese”. Altre belle parole, anche se forse sarebbe meglio invertire l’ordine, cominciando a investire sul paese che non sembra pronto, soprattutto culturalmente, ad accogliere gli investimenti in istruzione. Specie se “paritaria”.

   

Per capirlo basta raccontare, come ha fatto il Fatto Quotidiano online, ciò che è accaduto alle scuole paritarie del Lazio nel 2016. Da qualche anno infatti tutte le risorse destinate a questi istituti vengono assegnate dal Miur direttamente agli Uffici Scolastici Regionali che poi provvedono a erogarle ai singoli istituti che hanno i requisiti previsti dalla legge. Nel 2014 l’Usr del Lazio ha ricevuto 30.589.923 euro, 52.621.108 nel 2015 e ben 56.376.730 nel 2016. Lo scorso anno i fondi sono stati assegnati a settembre 2016, previe comunicazioni del ministero. Sono trascorsi tre mesi e a dicembre, visto che la maggior parte, circa 50 milioni di euro, non era ancora stata ripartita, sono tornati nelle casse del ministero dell’Economia. Che presumibilmente deve essere stato ben felice.

   

Molto meno felici le scuole paritarie laziali, circa 1.200 per un totale di 107.309 alunni, che hanno vissuto l’ultimo anno e mezzo in una situazione più che precaria. Spesso costrette a indebitarsi per garantire i propri servizi e pagare gli stipendi a insegnanti e dipendenti. Per fortuna a breve dovrebbero arrivare i fondi del 2017, ma la situazione generale è a dir poco preoccupante. Solo per fare un esempio, l’istituto Calasanzio dei padri Scolopiti di Frascati, scuola fondata da San Giuseppe Calasanzio nel 1616 (è la più antica scuola popolare pubblica d’Europa), rischia, proprio nell’anno in cui celebra i suoi 400 anni, di chiudere i battenti. L’allarme è stato lanciato alcuni mesi fa da Avvenire che ha sottolineato come i debiti sono diventati ormai insostenibili mentre dall’Ufficio Scolastico Regionale devono ancora arrivare 350 mila euro (40 mila sono addirittura risorse dell’anno scolastico 2013-2014).

  

A completezza d’informazione va detto che che fino a quando la vicenda del Calasanzio non è diventata pubblica, l’Usr non si è minimamente preoccupato di segnalare al ministero quello che era accaduto. Intervistato dal Fatto il direttore dell’ufficio, Gildo De Angelis, non fa altro che aggiungere particolari surreali all’intera vicenda, dal “cambio di dirigente dell’ufficio preposto”, alla situazione che “ci è sfuggita un attimo”. Insomma mancano solo una fotocopiatrice rotta, il francobollo che non si trova, il bonifico che non parte per l’assenza di una firma, qualche funzionario in ferie. Ed ecco servita l’ennesima storia di ordinaria burocrazia.

  

Per fortuna (o sfortuna decidete voi) solo il Lazio, tra le Regioni italiane, si è trovato in questa situazione. Intanto il Miur si è già attivato per provare a recuperare le risorse. I tempi, però, non saranno brevi. Il ministero, infatti, dovrebbe mettere a punto un decreto interno da inviare al Mef che dovrebbe “restituire” i 56 milioni di euro in sede di assestamento di bilancio. Cioè tra novembre e dicembre. Di tutto si sta occupando il sottosegretario Gabriele Toccafondi, che ha la delega alle scuole paritarie, e che viene descritto furioso mentre si aggira per le stanze di Viale Trastevere nel tentativo di porre rimedio a ciò che è accaduto.

   

In realtà non è il solo. Nessuno lo dirà mai pubblicamente, ma sono in molti a pensare che, si fosse trattato di scuole statali, tutto questo non sarebbe successo. Il problema, insomma, non è solo burocratico. Sembra esserci, quando si tratta di scuole paritarie, un ostacolo culturale. Un modo di pensare a questi istituti come fossero di serie B. E quindi nonostante lo sforzo per reperire ogni anno le risorse necessarie per la loro sopravvivenza (la gran parte di queste scuole non produce alcun tipo di utile) poi ad avere la meglio è sempre l’idea che, in fondo in fondo, non valga la pena di impegnarsi più di tanto. E così il “secondo pilastro”, lentamente, crolla.

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