Trump firma il disegno di legge per finanziare la Nasa (foto LaPresse)

Space race 2.0

Giulia Pompili

I nuovi dodici astronauti e l’amore rinnovato tra la Nasa e l’Amministrazione Trump

Roma. “Voi siete la nuova classe di eroi americani”, ha detto mercoledì il vicepresidente Mike Pence, presentando al mondo la squadra di dodici nuovi astronauti reclutati dalla Nasa. Ospite d’onore al Lyndon B. Johnson Space Center di Houston, la base del Texas che per anni è stata al centro dell’immaginario collettivo quando si parla di esplorazione spaziale, Pence ha salutato i dodici che sono stati selezionati a fare quello che avrebbe voluto fare lui da grande. Durante il discorso, infatti, Pence ha detto di aver assistito a diversi lanci dal Kennedy Space Center e di essere un grande fan della Nasa sin da bambino. L’annuncio dei nuovi dodici astronauti dell’Agenzia americana è passato un po’ in sordina, ma nasconde in realtà alcuni grandi cambiamenti in atto nella corsa allo spazio intrapresa da Washington già da qualche anno.

   

E il primo dato da registrare è che la passione e l’istinto per l’esplorazione spaziale ha ritrovato il suo momento d’oro. E’ forse grazie ad alcuni recenti film – “Gravity” di Alfonso Cuarón del 2013, o “Interstellar” di Christopher Nolan del 2014 – ma anche all’incredibile lavoro di lobby e promozione fatto dalla SpaceX di Elon Musk, trasformato in un guru motivazionale capace di finanziare qualunque apparentemente folle impresa in un gesto eroico per il futuro dell’umanità. Sono lontani i ricordi del disastro del Challenger (1986) del Columbia (2003) tra i più significativi della storia del programma Shuttle americano. Quando, nel dicembre del 2015, la Nasa ha finalmente riaperto le candidature per aspiranti astronauti professionisti, nessuno avrebbe mai immaginato che nel giro di un paio di mesi le domande sarebbero arrivate da oltre diciottomila persone in tutto il paese. A quel punto è iniziata la selezione, basata sulla professionalità, le attitudini psico fisiche, le motivazioni.

Donald Trump e la figlia Ivanka in videoconferenza con gli astronauti nella Stazione spaziale internazionale (LaPresse)


Su diciottomila, sono entrati a far parte del corpo astronauti della Nasa sette uomini e cinque donne. Questa è la ventiduesima classe di astronauti americani dal 1959, la più numerosa reclutata negli ultimi vent’anni, e qualcosa vorrà pur dire: tra di loro ci sono piloti professionisti, ma anche tre scienziati, un paio di medici, un ingegnere di SpaceX. Tre delle ragazze selezionate hanno meno di trent’anni, come Loral O’Hara, ingegnere aerospaziale, e Jessica Watkins, che ha studiato da geologa e ha già lavorato alla Nasa nel progetto Curiosity, la missione di esplorazione del pianeta Marte. I “nuovi eroi” americani inizieranno ad agosto il biennio di formazione, che si fa a Houston ma anche in Kazakistan, nella Città delle stelle, Baikonur, il cui cosmodromo è gestito da Mosca. Attualmente gli astronauti attivi della Nasa sono 44, e non tutti finiranno nello spazio profondo, non tutti faranno parte della prossima missione sulla luna (caldeggiata dall’Amministrazione Trump) o verso Marte.

 

Il 21 marzo scorso il presidente americano, tra le altre cose, ha firmato il Nasa Transition Authorization Act del 2017, una legge (la S.442) che passa a 19 miliardi e mezzo di dollari il budget dell’agenzia per l’anno in corso, ma soprattutto il primo ad arrivare sul tavolo dello Studio ovale dal 2010. La presidenza di Trump ha già ricostituito anche il National Space Council, un organo che faceva parte dell’Ufficio esecutivo della Casa Bianca ma che era stato soppresso nel 1993. Era una vecchia promessa mai mantenuta da Barack Obama, che Trump ha subito fatto sua, aggiungendo però ai membri che riferiscono al presidente anche il settore privato. “Faremo in modo che gli astronauti americani potranno partire alla volta dello spazio dal suolo americano di nuovo”, ha detto Trump in quell’occasione, mandando un messaggio alla Russia e al suo monopolio sui voli umani.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.