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Riusciremo a raggiungere gli esopianeti scoperti dalla Nasa?

Maurizio Stefanini

Quello che ora sembra impossibile è già stato creato nella fantascienza. E ora la scienza (ed Elon Musk) sta provando a emularla

La scoperta dei sette esopianeti a 40 anni di luce dalla Terra, annunciata dalla Nasa e pubblicata su Nature, può sembrare anche non troppo clamorosa: da quando nel 1992 fu accertata per la prima volta la presenza di due pianeti extrasolari al 22 febbraio 2017 ne sono stati individuati  ben 3.583 in 2.688  sistemi planetari diversi. Ma solo una dozzina avrebbero condizioni simili alla Terra, e in questa élite ben sette sono appunto questi in orbita attorno a Trappist-1, visibile nella costellazione dell’Acquario.

C’è poi l’annuncio di Elon Musk che entro il 2018, con la sua SpaceX, manderà in orbita due turisti spaziali. In molti dubitano della buona riuscita, ma il fondatore di Tesla insiste che i viaggiatori si sono già prenotati e hanno lasciato “un deposito significativo”, per un costo comunque non troppo lontano da quello di una missione con equipaggio all’International Space Station. Lo scorso settembre lo stesso Musk aveva parlato di un progetto por portare su Marte un milione di coloni, in un viaggio di 80 giorni da pagare con un biglietto da 100.000 dollari. “L’industria spaziale commerciale americana è pronta ad andare oltre l’orbita bassa della terra non in dieci anni ma ora”, ha commentato Phil Larson, ex consigliere per le politiche dello spazio di Barack Obama. E sembra evidente che la ricerca di nuovi pianeti e lo sviluppo di nuove tecnologie di volo spaziale sono strettamente collegate.

 

Con i missili di SpaceX, però, non si andrà mai su Trappist-1. E neanche con nessun altro manufatto finora costruito dall’uomo. Finora l’oggetto artificiale che ha raggiunto la velocità maggiore (58.536 km/h) nel lasciare la Terra è New Horizons, la sonda spaziale della Nasa che è stata lanciata da Cap Canaveral verso Plutone il 19 gennaio 2006 e che è arrivata il 14 luglio del 2015. Riuscendo a mantenere questa andatura costante, per raggiungere Trappist ci vorrebbero 817.000 anni. Ai 265.000 km/h che la sonda Juno ha raggiunto al momento di avvicinarsi a Giove grazie alla sua gravità, ci vorrebbero 159.000 anni. Il Voyager1, oggetto costruito dall’uomo che finora è arrivato più lontano, ci arriverebbe in 685.000 anni. E quanto allo Space Shuttle, che a 28.160 km/h ha portato esseri umani, avrebbe bisogno di un milione e mezzo di anni.

Ha dunque ragione chi dice che, date le distanze interstellari, l’idea di poter viaggiare sul serio da un sistema solare all’altro è pura fantascienza? La domanda va allora riformulata: ma come immagina la fantascienza di poter colmare abissi di spazio del genere? Il grande ostacolo è che la velocità della luce non può essere superata, secondo quanto dimostra la teoria della relatività di Albert Einstein. Ma quel che non può essere superato, non è che si potrebbe invece aggirarlo? Risponde la fantascienza. Si può fare, attraverso tre modelli teorici che potremmo definire modello Star Wars, modello Stargate e modello Star Trek.

 

In Star Wars, ad esempio, si ricorre all’iperspazio. È un concetto che è stato introdotto in matematica da Arthur Cayley nel 1867, è stato poi trasposto in letteratura da Howard Phillips Lovecraft nel 1933, è stato applicato alla fantascienza nel 1934 da Jack Williamson, ed è stato popolarizzato soprattutto dalle saghe di Isaac Asimov. Si tratterebbe di un “foglio di universo” nel quale le normali leggi della fisica non valgono più: come nel classico esempio dei due punti su di un foglio di carta. Possono essere distanti, ma se si piega il foglio ecco qui che si riesce a farli coincidere. Allo stesso modo, due punti in uno spazio a tre dimensioni possano apparire molto distanti, ma gli stessi punti in un iperspazio con un numero superiore di dimensioni potrebbero essere collegati da una traiettoria di lunghezza più breve. Si teorizza anche che nell’iperspazio esistano i tachioni, per i quali la velocità della luce non sarebbe il limite massimo sopra il quale non potrebbero andare, ma il limite verso il basso sotto il quale non potrebbero scendere.

La “porta tra le stelle” di Stargate, invece, è un esempio di wormhole: un “tunnel spaziale”, spesso ma non sempre identificabile con un buco nero, che può essere usato come scorciatoia. Tunnel spaziali vengono usati anche in Star Trek, per viaggiare in quadranti diversi della nostra Galassia.

 

Più spesso però in Star Trek si usa la propulsione a curvatura, per raggiungere remoti sistemi stellari in pochi giorni o talvolta poche ore. La genesi stessa di questa “warp drive” è il plot del film “Star Trek: Primo contatto”, in cui si fissa al 5 aprile 2063 la data del primo viaggio interstellare con il motore inventato dal dottor Zefram Colchrane, attraverso il quale viene per la prima volta contattata una civiltà extraterrestre: i famosi vulcaniani con le orecchie a punta, popolo del Dottor Spock. Fonte dell’enorme quantità di energia necessaria a raggiungere la velocità di curvatura: il reattore materia/antimateria a cristalli di litio, che forma attorno all’astronave forze contrapposte capaci di curvare lo spaziotempo davanti e dietro, fino a permettere al mezzo di saltare nel subspazio e raggiungere la destinazione in minor tempo. Come una formica che viaggia su un elastico che venga accorciato davanti a essa e allungato dietro.

Fantascienza, appunto. Ma in molti ritengono che i wormhole esistano sul serio, e che è solo questione di tempo prima di iniziare a scoprirli e utilizzarli.

 

Nel frattempo, scienziati della Nasa stanno lavorando sul serio al progetto l'EMDrive: un “motore impossibile” ideato dallo scienziato britannico Roger Shawyer nel 1999, attraverso un sistema di propulsione elettromagnetica capace di alimentare un veicolo spaziale senza utilizzare propellente e senza emettere nulla dal motore stesso, col semplice  far rimbalzare microonde in una cavità chiusa. Velocità a parte, si potrebbe viaggiare nello Spazio senza bisogno di immagazzinare carburante, ma semplicemente raccogliendo la luce stellare. In teoria, sarebbe uno sproposito che viola sia il terzo principio della dinamica che la legge della conservazione del momento angolare: si è detto che sarebbe come pensare di far navigare un veliero soffiando sulla vela. Nella pratica, però, sembra funzionare.

 

Un test sul modello è stato effettuato dell’Advanced Propulsion Physics Research Laboratory della Nasa, e i risultati sono stati pubblicati lo scorso novembre su Aerospace Research Central, assieme all'elenco e alla qualifica dei ricercatori che hanno condotto lo studio. Come è possibile? In effetti, anche quando Guglielmo Marconi parlò della possibilità di trasmettere le onde elettromagnetiche attraverso l’Atlantico si disse che era scientificamente assurdo, per via della curvatura terrestre. Invece ci si riuscì, e solo dopo si capì che le onde la curvatura riuscivano a aggirarla rimbalzando sulla ionosfera. Già adesso, dunque, c’è chi ipotizza che sarà un domani la meccanica quantistica a spiegare il paradosso. Comunque, con l’EMDrive si potrebbe raggiungere  Marte in 70 giorni e Alpha Centauri, che è a 4,365 anni-luce, in 92 anni. Laborioso: ma non impossibile, aiutandosi con l’ibernazione o con una colonia viaggiante. Qui, il modello è quello di “Passengers”.

Più veloce ancora sarebbe Breakthrough Starshot, che viaggiando a un quinto della velocità della luce arriverebbe a Alpha Centauri in una ventina di anni. Progetto del celebre astrofisico Stephen Hawking e dell’imprenditore russo Yuri Milner, che ci ha messo 100 milioni, è un sistema di vele al laser per navicelle delle dimensioni di un francobollo e dal costo di un iPhone. Ovviamente non potrebbero portare equipaggio, ma intanto andrebbero in avanscoperta a osservare. Tenendo conto dei tempi di realizzazione, di quelli del viaggio e di quelli per rimandare indietro i segnali raccolti, le prime riprese da un sistema extrasolare potrebbero arrivarci tra una quarantina d’anni. Nel frattempo, magari l’EMDrive avrà iniziato a volare, un womhole sarà stato scoperto, o si sarà trovato il modo di mettere assieme i micromoduli del  Breakthrough Starshot in qualcosa che sia in grado di portare anche l’uomo in viaggio tra le stelle.