Carlo Calenda (foto LaPresse)

Un sogno che qualcuno coltiva (o scaccia) a Roma: Calenda sindaco

Michele Masneri

Lui ne ride, il Pd lo sospetta, intanto qua ci si immagina la nuova "Lista Beautiful" come ai tempi di Rutelli

Vent’anni fa era una principessa, oggi a conquistare Roma potrebbe essere un principe, o un principino, con la faccia da libro Cuore. Se Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo, prendesse la decisione, sarebbe la riproposizione della “lista Beautiful”, quella che donna Alessandra Borghese (dei Principi) nel 1997 lanciò in appoggio alla lista di Francesco Rutelli. Il quartier generale era a via Donizetti, perfetta location pinciana. Si chiamava “lista civica per Roma con Rutelli” ma per tutti era “Lista Beautiful”, appunto, tutto un frinire di lini e camicie bianche, e inopinatamente prese il 7 per cento e consolidò l’onda lunga rutelliana. Con l’eterogenesi dei lini, i Parioli produssero così la grande bonifica delle periferie e i segni dell’éra rutelliana, il tram 8, le Scuderie del Quirinale, la Centrale Montemartini.

 

Tra i cavalieri che fecero l’impresa rutelliana c’erano l’ex campionessa di nuoto Novella Calligaris, e Flora Mastroianni, Roberto Lucifero (nipote di Falcone, ministro della Real Casa), il luminare Franco Mandelli, il gioielliere secolare Hausmann, e Giovannino Malagò del casato delle autovetture. Nomi che – esclusi i defunti – potrebbero benissimo far parte di una lista Calenda; e sarebbe una nemesi perfetta se i Parioli ancora una volta salvassero Roma dal degrado e dalla canaille. In fondo – il Cav. si arrabbiò molto vent’anni fa per quel 7 per cento che a suo dire aveva contribuito alla sconfitta – la golden share araldica potrebbe cambiare gli scenari anche oggi. Élite e uso di mondo, finalmente, dopo gli streaming; e le relazioni internazionali giuste, dovute non solo agli avi Grifeo di Partanna (dei principi), ai nonni ambasciatori, ma anche al periodo di assistenza al soglio con Montezemolo alla Ferrari.

 

 

Ma forse solo sogni, che CC coltiva (o scaccia) nel suo studio al Mise a via Veneto, nel palazzo malinconico piacentiniano sotto cui manifestano i fischietti sindacali. Lì dove, ci confessò, i mobili di design se li era portati da casa, perché quelli del ministero erano un po’ cheap. (Intanto, vent’anni dopo, nella Roma di Suburra, i Parioli son diventati più democratici: le buche son più grandi che al Trullo, i gabbiani grassi uguali, le strade più buie).

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