"Investiamo, anche se la mala amministrazione ci ostacola"

Giuseppe De Filippi

Il rilancio, l’export e la politica. Parla Ziliani, l’industriale delle lampade, fondatore della Slamp di Pomezia

Chiedi chi sono i vicini e lui ti risponde le mucche (detto con simpatia e rispetto per la zootecnia). Eppure è una zona industriale e lo era, in modo anche quasi fiorente, quando Roberto Ziliani arrivò dalle parti di Pomezia sud con idee da provare a tradurre in stampati e profilati. Lì c’erano le serigrafie e le officine, quel poco di manifattura che bastava per trasformare in modelli gli spunti di un’intelligente organizzatore di creatività altrui, di una persona piena di interessi e di curiosità, alle prese con un tentativo (quasi sorprendente per lui stesso) di realizzare oggetti. Quei prodotti, pensati per grandi allestimenti, funzionano e si comincia a crescere, sempre appoggiandosi ai piccoli laboratori locali, per rispondere alla domanda. E da lì, quasi senza accorgersene, l’apertura di un piccolo stabilimento nei primi anni 90 grazie alla concezione di un lume cilindrico di immediata fortuna commerciale, le assunzioni, il successo, lo sviluppo di altre lampade, le traversie tra intrusioni manageriali e finanziarie, la ripresa piena del controllo dell’impresa con interessanti progetti di sviluppo e un modello organizzativo centrato sulla promozione della creatività. C’era stato però anche l’incontro con un materiale, un polimero, una plastica evoluta (discendente di quei polimeri che fecero vincere all’italiano Giulio Natta un premio Nobel stranamente dimenticato), non particolarmente facile da lavorare, ma in grado di dare risultati di un’eleganza straordinaria, specialmente se attraversato dalla luce. Quel materiale, poi sviluppato e ripensato creando diversi marchi registrati, diventa il tratto distintivo delle creazioni di Slamp, l’azienda che prende il nome e lo spunto innovativo anche facendo un po’ il verso alla “s” privativa e ironica di Swatch (e con contatti tra i creativi di una e dell’altra) ma tracciando poi una via propria nel settore dell’illuminazione. Arrivano le collaborazioni con campioni del disegno produttivo, Doriana e Massimiliano Fuksas, Daniel Libeskind, Zaha Hadid, da ultimo il coreografo Bob Wilson con le sue rispettose, “è un uomo geniale, che però ascolta e dialoga con tutti e ha attenzione per le persone che incontra”, ma molto proficue incursioni del design (a lui si deve una lampada-capolavoro, con produzione non di serie).

    

Torniamo alle mucche, non perché i primi studi di Ziliani per qualche misteriosa ragione furono di veterinaria, ma per il panorama di desolazione industriale che ora circonda la sua azienda. Il farmaceutico, gloria locale, si è scompaginato e resiste, ci dice, “a chiazze, per agglomerati separati, non certamente come vero e proprio distretto”. Le grandi multinazionali informatiche hanno chiuso le sedi locali, una volta basi molto forti della loro presenza in Italia. Il grosso della manifattura sparito “tra mugugni e silenziosi trasferimenti verso paesi a basso costo del lavoro”. Nel frattempo la strada per arrivare alla sede della Slamp si fa sconnessa, si aprono buche, l’aspetto diventa poco invogliante. “Ci sono sempre altre priorità per le amministrazioni”, ci racconta, “e anche per un servizio essenziale per noi come la banda larga stiamo faticando, tra scelte discutibili con cui si privilegiano le famiglie anziché le aziende e impuntamenti di fronte a piccoli investimenti con cui i fornitori potrebbero raggiungerci”. E si fa fatica a trovare il sostegno che dovrebbe derivare da un tessuto industriale e produttivo, “detto in parole più chiare abbiamo difficoltà a farci consegnare la giusta vite, il bullone, a trovare un tornitore in zona per modellare le parti meccaniche”. Ma non fa niente. Ziliani ha aumentato investimenti e fatturato a partire dal 2008, figuriamoci se si spaventa adesso. Il mondo frenava, terrorizzato dalla crisi, e a Pomezia, da quella piccola fabbrica, arrivavano nuove idee e nuove realizzazioni. Con crescita costante dei risultati in tutti gli anni della recessione più dura del dopoguerra e nei successivi.

  

Ora Ziliani cerca un altro capannone in zona per crescere di scala produttiva e soprattutto ha pronto un progetto per creare a Castel Romano uno spazio che sia showroom delle sue lampade, nuova sede allargata per i suoi designer e, idea peculiare e molto feconda, spazio di lavoro per creativi di qualsiasi provenienza in cui dar loro modo di lavorare. “Siamo pronti a investire, aspettiamo – e fa la faccia di chi sta pazientemente sopportando – che si sblocchino le questioni amministrative e quelle ambientali”. Il progetto, visto su plastico, fa impressione. “Abbiamo contatti con varie università – ci dice – interessate a scambiare competenze una volta che tutto si avvierà, ci sarebbero assunzioni e si darebbe maggiore dignità al design industriale romano, a volte un po’ snobbato dal polo milanese”. Un occhio attento ce lo ha messo il progetto della regione che si chiama LazioCreativo, seguito da Gian Paolo Manzella a caccia di iniziative simili (e ne ha trovate un po’ a sorpresa anche altre). L’iniziativa del governo, by Carlo Calenda, per ridare un po’ di slancio ai settori produttivi a Roma e provincia e frenare l’emorragia imprenditoriale dovrebbe partire da stabilimenti come questo.

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