Virginia Raggi (foto LaPresse)

Dalla A di Atac alla Z di "zero rifiuti", tutte le sfide che attendono la giunta Raggi

Gianluca De Rosa

Lo stadio della Roma, l'emergenza idrica e quella delle partecipate, da Atac ad Ama. Settembre sarà il mese decisivo

Lo stadio più pazzo del mondo


A fine mese, nel corso della conferenza dei servizi, si capirà (forse) che ne sarà di questo povero stadio. A giugno, per la seconda volta in due anni e mezzo, l’Assemblea Capitolina aveva riconosciuto l’interesse pubblico al progetto dell’As Roma di costruire il suo stadio di proprietà in zona Tor di Valle. Dopo l’eliminazione del 50 per cento delle cubature del business park adiacente all’impianto, su richiesta dell’amministrazione, sono saltate anche tutte le opere di pubblica utilità previste. E dunque, adesso, potrebbe venir meno il principio generale di pubblica utilità. Un pasticcio amministrativo e burocratico. Lo stadio è un opera mastodontica che muove enormi interessi in città: 130.500 metri quadri destinati ad uffici, 22 mila a vocazione commerciale e 40 mila tra stadio (50 mila posti) e campi di allenamento. Un’operazione da oltre 1 miliardo di euro, realizzata dal club giallorosso assieme al costruttore Luca Parnasi, dove le cubature dello stadio equivalgono a meno di un terzo del totale. Settembre sarà il mese delle decisioni finali.

  
L’acqua (c’è, ma sparisce)


Da domani sera sarà abbassata la pressione dell’acqua corrente che arriva nelle case dei romani. Perché? Con perdite nella rete idrica superiori al 40 per cento, uno si aspetterebbe che il Comune decidesse di reinvestire gli utili dell’Acea (400 milioni nel 2016) nella modernizzazione delle tubature. E invece no. Il Campidoglio detiene il 51 per cento della multiutility, ma non può permettersi una scelta del genere: quei dividendi servono per coprire le falle annuali del bilancio comunale. E dunque, paradosso dei paradossi, al Comune di Roma “conviene” sprecare l’acqua e magari razionarla anziché riparare gli acquedotti e realizzare gli impianti di depurazione. Se si dovessero rifare le tubazioni, d’altronde, come si pagherebbero gli stipendi del personale? La salvezza, settembrina, potrebbero essere le piogge. E per un po’ di acqua non se ne parlerebbe più.

  

Atac e il suo salvatore Lemmetti


E’ settembre il mese decisivo per il neo assessore al Bilancio Gianni Lemmetti, che dovrà replicare con l’Atac quanto fatto a Livorno con l’Aams: salvataggio dell’azienda tramite concordato preventivo. Sull’azienda dei trasporti romani incombe la legge Madia che impone la procedura fallimentare per le municipalizzate con più di 500 milioni di debito (e Atac ha 1 miliardo e 300 milioni di debito). L’azienda è un paradigma disfunzionale per numero di dipendenti, tasso di assenteismo, evasione delle tariffe, stipendi dei dirigenti e loro permanenza negli incarichi. Negli ultimi cinque anni la dirigenza Atac ha messo a gara acquisti per 2,5 miliardi senza comprare neanche un autobus. In Atac tutto appare legato al potere politico locale e ai suoi addentellati, un meccanismo che ha svuotato di qualsiasi logica produttiva e perfino economica le relazioni industriali di un’azienda che impiega quasi 12.000 persone. Sul concordato preventivo di Atac si gioca la ripartenza autunnale della Raggi.

 

I primi passi del “piano Montanari”


“Porteremo la differenziata al 70 per cento”, diceva l’assessora Pinuccia Montanari. Al netto delle ambizioni, la situazione a Roma resta difficile. Ogni mese migliaia di tonnellate di rifiuti sono spedite al nord, in alcuni casi all’estero. Tra poche settimane dovrebbero cominciare le procedure per la costruzione dei nuovi impianti di compostaggio. E si vedrà se partiranno, e come. Montanari parla di “progetto rifiuti zero”: niente inceneritori né discariche (mentre la Regione avverte che una discarica di servizio, vista l’emergenza, ci vorrebbe). Oggi i romani producono un milione e settecentomila tonnellate di rifiuti all’anno. Il progetto del Campidoglio punta a promuovere il vuoto a perdere, il compostaggio domestico e il packaging ecologico. Intanto sono stati acquistati migliaia di nuovi cassonetti, perché l’immondizia romana – in attesa dell’economia circolare – nessuna sa più dove metterla.

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