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"Urge un disegno per Roma, altrimenti c'è solo la paralisi"

Marianna Rizzini

L’Ema e il dinamismo di Milano, L’Anac e il Campidoglio, il degrado e le occasioni perdute. Parla Nicolò Rebecchini

"La cultura del sospetto non può essere alibi per il non fare”, dice Nicolò Rebecchini, nuovo presidente dell’Acer, l’associazione dei costruttori romani. Rebecchini ha letto l’intervista del presidente dell’Anac Raffaele Cantone a questo giornale, intervista in cui Cantone dice che “contro la corruzione ci vuole meno burocrazia, non più demagogia”. E non soltanto è d’accordo con Cantone, Rebecchini, ma pensa che sia diventata “alibi” anche l’abitudine a considerare Roma “banco di prova” per la politica. E, in giorni in cui Roma è di nuovo la bestia nera della stampa mondiale per via della cosiddetta emergenza idrica, amplificata dall’urgenza mediatica che sempre scoppia quando si tratti di parlare della città di “mafia capitale” – e dopo 13 mesi di giunta Raggi – il presidente dei costruttori romani pensa che “la magistratura abbia fatto chiarezza sul passato”, anche se “nessuno potrà dire con certezza che a Roma, come ovunque, mai più esisterà corruzione”, ma che sia ora venuto “il momento di ripartire”. Lo si può fare, intanto, dice Rebecchini, “combattendo l’idea diffusa che a Roma tutto debba essere visto nell’ottica del malaffare”. Malaffare, ma anche immobilismo e inefficienza della macchina amministrativa. Tanto che c’è chi, in questi giorni, propone un “commissariamento lungo” per intervenire sulle incrostazioni (burocrazia, sindacati, ricaschi di entrambi sui problemi delle municipalizzate). Rebecchini non propende per la soluzione “commissario”, di cui tuttavia “comprende la logica”, ma dice che è necessario “mettere la testa a Roma prima di tutto a partire dal governo, e poi a livello di forze politiche, intervenendo trasversalmente perché si ritrovi l’impulso a investire. Ci vuole l’impegno dello stato. In nome del ‘no alla corruzione’, Roma sta combattendo una battaglia più grande di lei, in cui i sindaci non riescono a conquistare la fiducia dei cittadini e in cui ogni iniziativa viene preventivamente bollata come foriera di chissà quali traffici. Risultato: la paralisi. Ma se le si dà fiducia a livello di governo centrale, i gruppi politici saranno invogliati a confrontarsi su programmi invece di combattersi demagogicamente”.

 

Roma però non ha gli standard di efficienza delle altre capitali europee. “Il primo passo per la ripartenza della città”, dice il presidente Acer, “è proprio l’abbandono di una cultura del sospetto inteso come verità che prescinde dalle prove e che bolla un soggetto come colpevole prima di arrivare alla sentenza. La paura di un avviso di garanzia blocca in partenza l’iniziativa, nonostante ci si sia dotati di codici etici. Ma gli anticorpi per sconfiggere o quantomeno contenere il più possibile la corruzione ormai ci sono. Anche per questo ha il nostro plauso il nuovo protocollo di vigilanza collaborativa stretto tra Anac e il comune di Roma, ferma restando, però, la necessità di individuare in fretta gli interlocutori nei diversi centri decisionali”.

 

Da dove cominciare, però, nella città in cui molti imprenditori sono rimasti a dir poco perplessi di fronte al caso Ema (Agenzia europea del farmaco), con Milano che si è candidata a ospitarla, mentre Roma sembra non essere più in grado di attrarre investimenti e realtà internazionali importanti? “In questa città serve un disegno, non l’iniziativa spot”, dice Rebecchini. “Milano non a caso è ripartita: lì c’è stato un impegno trasversale per far fruttare le risorse della città. Non possiamo fermarci di fronte allo scontro istituzionale – male endemico, così pare – né pensare che possa essere la magistratura a dettare le regole”. Ma prima del caso Ema, c’è stato, a Roma, il caso delle (perdute) Olimpiadi. Rebecchini dice: “E’ stata una perdita per il territorio, soprattutto perché non è stata colta l’occasione di dare impulso alla logica del fare”.

 

Un disegno per Roma, dunque. “A Roma c’è il turismo, sì”, dice il presidente Acer, ma “non ci si dimentichi che Roma ha perso la sua storica dimensione di città dei servizi”. Poi c’è il problema mobilità. Dici Atac, con tutti i ricaschi sindacali, e sollevi la questione dell’eventuale privatizzazione. E’ il corso una raccolta firme per il referendum “Mobilitiamo Roma”, promosso dai Radicali, ma la classe dirigente nicchia. “A livello di municipalizzate”, dice Rebecchini, “diverso è il problema di Ama e di Atac. Quanto ad Ama, penso sia stato un errore dismettere senza un vero piano alternativo i sistemi e siti di raccolta. Per Atac servono decisioni difficili e impopolari, ma privatizzare non è necessario se si ha la forza di gestire a livello pubblico una situazione delicata. Penso al modello Ferrovie dello Stato. Poi però la scelta impopolare va sostenuta a tutti i livelli”.

 

Altro punto del “disegno per Roma”, secondo Rebecchini, dovrebbe essere “il fare sistema a livello accademico: l’Università dovrebbe essere un polo da cui si irradiano iniziative culturali, sociali, politiche, imprenditoriali”. I costruttori romani, dice il presidente Acer, sono “disponibili ad aiutare le istituzioni”, ma bisogna risolvere “un problema-burocrazia: il dirigente pubblico non si sente protetto dalle istituzioni e dalla politica. Il codice degli appalti ha segnato un punto di discontinuità forte in questo senso. Se ci si rende conto che, per evitare immobilismi, servono personalità di controllo esterne, non si può far finta di non sapere che tutto questo ha dei costi. Lo stanziamento di risorse a questo scopo non è tema da rigettare a prescindere sull’onda del pregiudizio ‘Roma uguale malaffare’”. Roma però, come spiegava il grande urbanista Italo Insolera, è disfunzionale anche perché edificata, nel Dopoguerra, seguendo geometrie di sviluppo speculative. “Era un’altra epoca, c’erano esigenze diverse, anche se in alcuni casi si soffre ancora per effetto di cattive scelte passate”, dice Rebecchini – famiglia storica di costruttori – convinto che sia “fondamentale la legge sulla rigenerazione urbana”. E il tanto discusso stadio della Roma, il cui progetto è criticato anche per via degli errori “urbanistici” (lontananza dalla metro, assenza di infrastrutture di pubblica utilità)? “Vivaddio qualcuno investe”, dice lui. Augurandosi “che il progetto-stadio possa essere ricompreso in un piano globale per un quadrante cittadino”. Intanto, al primo punto del disegno per Roma, Rebecchini metterebbe un “no” al vivacchiare sulla “spesa corrente”: “Basterebbero, per esempio, pochi interventi di manutenzione straordinaria per ridare al cittadino fiducia nella macchina amministrativa, ed evitare che si diffonda sempre di più l’idea del fai-da-te anti-degrado”. Vasto programma.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.