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"Se Raggi avesse fatto le Olimpiadi non staremmo parlando soltanto di ratti"

Marianna Rizzini

I giochi vanno a Parigi. Il presidente del Coni racconta l'occasione perduta per la città. E quegli 1,8 miliardi sfumati. Parla Giovanni Malagò

E’ evidente, sarebbe convenuto anche al sindaco Virginia Raggi che le Olimpiadi si fossero svolte a Roma”, dice il presidente del Coni Giovanni Malagò, nel giorno in cui si apprende che le Olimpiadi del 2024 e del 2028, dopo il “no” pronunciato da Raggi alla candidatura romana, stanno volando verso Parigi e Los Angeles. “Lo dico da non politico”, dice Malagò, “è stato un dolore veder sfumare un sogno per una questione politica. Ed è una ferita ancora aperta. Difendo, com’è naturale per il presidente del Coni, un evento senza il quale non esisterebbe lo sport. E lo difendo anche perché dodici milioni di italiani ci avevano dato mandato pieno. Avevamo detto alla Raggi: non vi piace la nostra impostazione? Benissimo, cambiamola. Diteci come volete fare. Bastava aspettare un attimo e ci si sarebbe resi conto che è una cosa da pazzi aver rinunciato a un’opportunità di cui avrebbe beneficiato l’intera città”.

 

L’intera città, che oggi – depressa – parla soltanto di topi, gabbiani, monnezza, roghi, autobus in sciopero e campi rom, non si sarebbe peraltro trovata, dice Malagò, “nel paradosso attuale. E cioè che il Cio, quest’anno, per la prima volta, ha annunciato lo stanziamento di un’ingente somma di denaro per la città che ospita i giochi. Beh, ieri ho sentito il sindaco Raggi chiedere al governo 1, 8 miliardi di euro per le periferie. Cosa che ogni romano vorrebbe. Ed è esattamente la cifra che il Cio avrebbe dato a Roma, fosse stata Roma la città ospitante! Le Olimpiadi danno energia, positività, avrebbero dato risorse”. E allora Malagò fa notare che la “Francia e gli Stati Uniti, paesi che hanno appena cambiato presidente e in cui di conseguenza tutto è cambiato”, a livello di linea politica, nomine e compagine governativa, “non hanno però pensato neanche per un attimo di non tenere in piedi la candidatura olimpica”.

 

Altro piccolo paradosso: “Perché dire sì allo stadio della Roma, decisione che porta beneficio non a tutta la città ma a privati e per scopo di lucro?”, si domanda Malagò, che pure è sempre stato “favorevole allo stadio della Roma”, nonostante il Coni abbia piedi, anima e mobilia nello Stadio Olimpico, “e perché invece dire no alle Olimpiadi, evento di cui avrebbe beneficiato, appunto, tutta la città?”. E la “cosa da pazzi” pare ancora più assurda se si considera “l’errore di fondo”, dice Malagò, sempre sottolineando la natura “non politica” del pulpito da cui pronuncia il giudizio: “E’ stato detto ‘ci occupiamo dell’ordinario, non dello straordinario’. Lodevole proposito. Ma senza un minimo di prospettiva, l’ordinario, giorno per giorno e secondo per secondo, può anche strozzarti”.

 

Le origini del No a cinque stelle

Fatto sta che la distinzione tra ordinario e straordinario era proprio quella fatta dal deputato Simone Valente del Movimento Cinque Stelle nell’autunno scorso, quando, a ridosso del “niet” di Raggi alla candidatura olimpica romana, si era fatto latore di un pensiero (dei vertici a Cinque Stelle, s’immagina, Beppe Grillo e Davide Casaleggio in testa) oltreché di una misteriosa mozione già scritta, in cui si ribadiva l’importanza del “cronoprogramma” capitolino, da implementare giorno per giorno con occhio all’ordinario. Non abbiamo bisogno di Olimpiadi, era il concetto ribadito anche richiamando metaforicamente in scena Mario Monti, considerato dai Cinque Stelle paladino originario del “no”. E chissà se la città sarebbe stata meno intenta a parlare di ratti e volatili intenti a banchettare nelle vie di Trastevere, ci fosse stato, all’orizzonte, il futuribile “evento” olimpico. Fatto sta che, nei giorni in cui il sindaco chiede soldi a uno stato centrale considerato a intermittenza, dal M5s, come il mostro da cui tutti i mali discendono o come il padre che deve salvare i figli poverelli (argomento, questo, molto discusso durante la campagna elettorale 2016, con Raggi e l’avversario pd Roberto Giachetti su posizioni divergenti), ecco che spunta un sondaggio di Index Reasearch, realizzato per “in Onda”, trasmissione de La7 condotta da Luca Telese e David Parenzo: tre romani su quattro non credono al complotto anti-Raggi. E alla domanda: “Lei crede sia reale la presenza di ostacoli o complotti che impediscono alla Giunta Raggi di governare Roma?”, il 74, 1 per cento risponde negativamente, solo il 12,3 per cento crede possa essere possibile, e il 13,6 per cento non sa o non vuole rispondere”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.