Traffico su via Salaria. Foto LaPresse/Cristiano Laruffa

Una Capitale a trenta chilometri all'ora

Marco Sarti

Lo stadio, le Olimpiadi, la monnezza, i trasporti. Il limite di velocità sulla Salaria è la metafora di una città bloccata

Nazione lenta, Capitale immobile. All’ora di punta, nelle vie del centro, le automobili si muovono a una media di 8,3 chilometri orari. Si viaggia più o meno alla stessa velocità con cui procedevano le carrozze a cavallo alla fine del Settecento, come ha evidenziato pochi anni fa uno studio di Confcommercio. I numeri raccontano bene questa tendenza. Tra imbottigliamenti e macchine in doppia fila, ogni anno gli automobilisti romani trascorrono 163 ore fermi nel traffico. Oltre sei giorni ad aspettare in coda, come certifica l’ultima indagine “TomTom index 2017”.

    

Roma lenta quia aeterna. Il destino della capitale è già nel suo appellativo. Una città al rallentatore, frenata dal traffico, dalla burocrazia, dall’indolenza amministrativa e dalla malagestione, che è l’altra faccia dell’ideologismo grillino. Da una parte i corrotti, dall’altra gli incorruttibili giacobini. Ma il risultato non cambia. L’asfalto delle strade è deformato e reso pericolosissimo da buche e radici? Per risolvere il problema in alcuni tratti della Colombo e di via Salaria si è deciso – in attesa che qualcuno ripari i crateri – di ridurre i limiti di velocità a 30 chilometri orari. Più che un’ordinanza, una furbata: in caso di incidenti il nuovo limite mette al riparo il Comune dalle cause legali. Ma è anche un manifesto ideologico, quasi una metafora della città: a Roma si deve andare piano. E così la lentezza diventa una sottomarca della furbizia amministrativa.

     

Non va meglio a chi usufruisce dei trasporti pubblici. I romani trascorrono ore alle fermate in attesa degli autobus. Per prendere un mezzo ci vogliono in media venti minuti di pazienza. A calcolare la snervante statistica è stata Moovit, un’applicazione dedicata alla mobilità urbana. Non che il trasporto su ferro sia diverso. La Roma-Lido è stata scelta da Legambiente come la peggiore linea per pendolari di tutto il paese. Premio dal sapore beffardo per i centomila utenti che sono quotidianamente costretti a viaggiare tra sovraffollamento e ritardi. “Dovrebbero essere ufficialmente 30 i minuti necessari a percorrere i poco più di 28 km che separano la stazione di Porta San Paolo e il mare di Ostia – si legge nell’ultimo rapporto Pendolaria redatto dall’associazione ambientalista – Ma la realtà è ben diversa”. Lentezza, lentezza ovunque. Basta chiedere ai quasi trecentocinquantamila romani che ogni giorno devono prendere la metropolitana. “In teoria la linea B dovrebbe effettuare ogni giorno 428 corse, con una frequenza ufficiale nelle ore di punta di un treno ogni 4 minuti”, scrive ancora Legambiente. Invece ci sono “attese medie di 15 minuti, con picchi di 20-25 nella linea B1 per la stazione Jonio, impensabili per una linea metro di una capitale europea”.

     

La lentezza come modo di condursi, nella vita, nella politica, nell’amministrazione pubblica. La prima volta che si è iniziato a parlare di Metro C era il 1990. In attesa del completamento dell’ultima tratta sono passati quasi trent’anni. Nella Capitale il tempo si dilata. E’ stato nei primi anni Ottanta che l’allora presidente della Roma, Dino Viola, ha ipotizzato la costruzione di uno stadio di proprietà. Di anni ne sono passati quasi quaranta, ma la realizzazione dell’impianto resta sospesa, in uno strano, indecifrabile stallo. Alle difficoltà burocratiche si è aggiunta la nuova visione della giunta grillina. Il progetto di Tor di Valle è stato fermato, poi rivisto, rallentato. In nome della lotta alla speculazione sono state ridotte le cubature e abbassati, segati, i grattacieli previsti nel piano originario. Ma così sono stati segati anche gli investimenti per la città. L’impostazione è da decrescita felice, malgrado, secondo l’Istat, i romani non siano affatto tra i più felici. La stessa impostazione che, per paura di sprechi e ruberie, ha portato a rinunciare all’organizzazione delle Olimpiadi del 2024. E così la lentezza si è trasformata in immobilismo. Eppure è difficile non condividere certi timori. La città, dopotutto, non ha ancora chiuso i conti con i Giochi del 1960. Come ricordava l’ex sindaco Ignazio Marino, nel grande debito capitolino trovano ancora posto le cause con i proprietari dei terreni espropriati per le Olimpiadi di sessant’anni fa. E se non è lentezza questa…

    

A Roma è lenta la politica, forse non è neppure il caso di ricordare quanti mesi ci sono voluti a Virginia Raggi per formare una giunta in Campidoglio. Ed è lenta la burocrazia. Proprio in queste settimane si tengono gli esami orali del concorso per l’assunzione di trecento vigili urbani. Un concorso che a furia di ricorsi al Tar ormai fa parte della storia della città. Il bando risale a sette anni fa, quando il sindaco era ancora Gianni Alemanno, ma per avere la graduatoria definitiva si dovrà aspettare il prossimo autunno. Piano piano, senza fretta. E’ la stessa lentezza con cui da anni tutte le giunte propongono di occuparsi di quella vergogna composta d’emarginazione e abbandono che a Roma sono i campi rom. Degrado e lentezza. Pochi giorni fa hanno fatto discutere le immagini di un rapporto sessuale consumato sui marciapiedi di Piazza Indipendenza. Il Palazzo ex sede della Federconsorzi, teatro dell’amplesso, è occupato da anni da centinaia di persone senza fissa dimora. Ma lo sgombero dell’immobile, che la prefettura considera prioritario, resta da tempo in attesa di esecuzione. Se la pazienza è la virtù dei forti, a Roma si rischia di esagerare. E’ il caso dell’emergenza rifiuti. Nelle ultime settimane cumuli di spazzatura si sono ammassati persino nelle strade del centro storico, sotto le lapidi settecentesche che da qualche secolo dispongono multe salate per chi butta in strada l’immondizia. E’ il segno tangibile della lentezza – in questo caso della stasi – con cui Roma affronta da sempre gli stessi problemi. Quella dei rifiuti è una gigantesca grana che si trascina da tempo. I piani per risolvere la questione si alternano, giunta dopo giunta. L’ultimo, presentato dai Cinque Stelle, propone di portare la raccolta differenziata al 70 per cento, fissando l’obiettivo al 2021. Ci sono ancora 4 anni di tempo. L’assessore Pinuccia Montanari l’ha definita, guarda un po’, “una rivoluzione lenta”. Intanto centinaia di Tir, lentamente anche loro, trasportano ogni giorno la spazzatura dei romani verso gli impianti del Nord. Sullo sfondo, come un mantra, la sindaca Raggi ripete: “Dateci tempo, stiamo lavorando”. Adelante, con juicio.

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