Un camion dell'Ama (foto LaPresse)

Ecco come e perché non funziona la gestione dei rifiuti nella Capitale

Giuseppe De Filippi

Ogni settimana camion pieni di immondizia partono verso l’impianto austriaco di Zwentendorf. L’Ama paga 100 mila euro a convoglio

La scena vanziniana potrebbe funzionare: famiglia romana in vacanza in Austria, sulle rive del Danubio, non lontano da Vienna. Una boccata d’aria mitteleuropea e il gioco di rispettare le strisce pedonali e i divieti di sosta pure più dei locali. Siamo a Zwentendorf an der Donau, magari al RosenHotel (8,1 il voto su Booking). I romani, la statistica li vuole elettori di Virginia Raggi, lodano l’efficienza locale, gustano frutti di bosco, e tra un tuffo e l’altro nel Danubio, è a 3 minuti a piedi, ci scappa anche la battuta irridente sui rimasti in città o a Ladispoli. Arriva, come risposta alla battuta, l’anticlimax vanziniano, da involgarire a scelta: state a fa’ Heidi (vabbè anche se è Svizzera…) in mezzo alla monnezza.

 

Sì perché i nostri romani in vacanza avrebbero percorso la stessa strada delle ecoballe che settimanalmente partono da Roma per raggiungere l’impianto di Zwentendorf dove vengono bruciate per la produzione di energia e per la prosperità della comunità locale. L’appalto, voluto e gestito dall’ex ad di Ama Daniele Fortini ( giunta Marino), prevede l’invio di rifiuti solidi trattati fino a un totale di 160.000 tonnellate. L’Ama paga 100 mila euro a convoglio, per arrivare a 95 milioni nei 4 anni previsti di vigenza del contratto. E per l’Italia costerà doppiamente cara perché la spedizione all’estero è ormai vietata dalle regole europee e causerà, in flagranza d’infrazione, una multa a carico dell’Italia e del comune di Roma, verso la quale andiamo incontro come se fossimo sparati a 250 km all’ora con un autovelox a pochi metri. Teniamo a mente i numeri, assieme alla legge dello stato e a quella di Lavoisier (conservazione della massa). La città produce mediamente 5000 tonnellate di rifiuti al giorno. L’Ama dichiara un 41 per cento di raccolta differenziata sul quale sembra ragionevole (Lavoisier) avere dei dubbi, ma prendiamolo per buono e assegniamo quindi alla differenziata 2050 tonnellate. Ne restano 2950. Vanno nei 4 impianti più o meno funzionanti, dotati complessivamente della capacità di trattare 3000 tonnellate. Insomma, giusti giusti, e perciò al primo piccolo intoppo ecco che la raccolta va in tilt. Il tutto a un prezzo salatissimo: il costo dello smaltimento a Roma, dopo la chiusura definitiva della discarica di Malagrotta è aumentato del 65 per cento. Lo smaltimento poi non è totale. C’è un trattamento dal quale (è sempre Lavoisier a sostenerci) emerge un 80 per cento del totale imballato e spedibile e un 20 per cento che è una specie di ipermonnezza, un condensato di percolato e organico che, a quanto se ne sa, resta dalle nostre parti senza dare molte notizie di sé (e qualche legittimo sospetto va preso in considerazione).

 

Malagrotta quindi chiusa e guerra totale, con il vecchio leone Manlio Cerroni e l’emergente Fabio Altissimi da Acilia (neotitolare di un impianto ammodernato per circa 30 milioni di euro) a scontrarsi nelle aule dei tribunali e sul mercato. L’ingegner Cerroni ha difeso negli anni la sua centralità nel sistema rifiuti con tutti gli strumenti della blandizie politica e della rigidità umana ed è andato incontro a processi, rinvii a giudizio, condanne. Però se ne intende e sa di cosa parla, diversamente da molte sue controparti. Il trionfo vent’anni fa con l’approvazione della delibera che a Roma vieta il trattamento dei rifiuti tali e quali, al 100 per cento, come succede ad esempio nel famoso impianto di Brescia. A Roma quella pratica è stata così esclusa a furor di politica locale. E la gestione in discarica resa inevitabile nei secoli dei secoli.

 

Una sola volta, negli anni recenti, l’amministrazione ha provato a riprendere il controllo della situazione, per smettere di essere solo spettatrice. La giunta Veltroni propone che Acea compri Malagrotta e prenda il controllo pieno di tutto il ciclo rifiuti, compensando però Cerroni con un adeguato pacchetto azionario. Piano perfetto, che si infrange con l’uscita di Veltroni dal Campidoglio, ma già prima con l’opposizione del gruppo Caltagirone, socio forte in Acea, riguardo al prezzo con cui remunerare Cerroni. La politica arretra con la giunta Alemanno, mai entrata nella questione. Resta spettatore anche Ignazio Marino (fa solo scena intestandosi lo scalpo di Cerroni). Parlano d’altro (mentre ruotano gli assessori) nella giunta a 5stelle. E svicolano dalle tre questioni vere: l’uscita da una gestione illegale, il trattamento operativo della differenziata, la riduzione dei costi. No, i costi vengono invece aumentati con l’accordo recentissimo sul contratto dell’Ama, in cui a fronte di strambi aumenti dell’orario di lavoro (anticipo inizio e pausa pranzo ridotta a improbabili e inumani 10 minuti) si concedono incrementi. La giunta tace anche sulla proposta accademica (ma con taglio operativo) di indire una gara a favore dei tanti titolari di capannoni non utilizzati attorno al raccordo perché realizzino impianti di riciclaggio. Se ne guadagnerebbe in efficienza e anche in impatto ambientale, con il ciclo di differenziata e trattamento svolto a poca distanza dalla raccolta. Nessuna risposta, nessuna proposta, dal Campidoglio, esclusa l’esaltazione della partecipazione volontaristica dei cittadini. Alziamoci e raccogliete o ramazzate. E la sindaca ferma, come un frigorifero a bordo strada.

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