Cena per i 150 anni della Galleria Vittorio Emanuele II. Foto Nicola Vaglia /LaPresse

Ero milanese

Maurizio Crippa

La politica sonnecchia, ma c’è l’anima solidale: tra super cene e la campagna contro la Bossi-Fini

Mentre la grande politica che conta, per la città, ancora latita dopo le ferie – in attesa di sapere come andrà in autunno con l’Ema, in attesa di avere segnali (improbabili) sulla Consip, in attesa che il famoso Campo Progressista che doveva partire da Milano dia segni di vita (improbabili) – Milano si reinventa come piattaforma di respiro nazionale per altre iniziative di rilievo sociale. Non che sia un male. Almeno per tenere alto, nella Fashion week che sta per iniziare, lo standard solidale della metropoli meneghina. Quello che, ad esempio, martedì sera ha trasformato l’occasione dei festeggiamenti del 150esimo anniversario dell’inaugurazione della Galleria in una mega cena vip-solidale, novecento persone che hanno pagato un conto di 500 euro a testa per sedersi ai tavoli: il ricavato è andato alla “Cena sospesa”, un’iniziativa nata con Expo, lanciata da una partnership tra Caritas, Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi ), Confcommercio e patrocinata dal comune che consente di offrire un pasto a chi ne ha bisogno lasciando un’offerta in uno dei 35 ristoranti della città che hanno aderito all’offerta. Il corrispettivo della “cena sospesa” va alle associazioni che si occupano di assistenza, finora sono stati distribuiti 60 mila euro in buoni pasto, cui andranno ad aggiungersi i 300 mila raccolti in Galleria.

   

Risvolto decisamente più politico per un incontro svoltosi mercoledì alla Casa della Carità. Si trattava di lanciare il “rush finale” della campagna “Ero straniero - L’umanità che fa bene” lanciata nei mesi scorsi dai Radicali italiani e dalla Casa della Carità, assieme a varie associazioni cattoliche elaiche, dalle Acli all’Arci. Trattasi di una raccolta di firme per una legge d’iniziativa popolare intesa a superare la Bossi-Fini, e che abolisca il reato di clandestinità. Servono 50 mila firme, ne mancano ancora 16 mila. Così mercoledì a rilanciare l’iniziativa c’erano Emma Bonino, Giuliano Pisapia (il leader di Campo Progressista, appunto: ma indubbiamente più a suo agio nelle opere di bene che a discutere con Bersani e Pippo Civati) l’assessore al Welfare Pierfrancesco Majorino, ala sinistra del Pd, e il sindaco di Bergamo nonché candidato “renziano” in pectore per la regione Giorgio Gori. Fronte trasversale, come si dice. Non inedito – nemmeno tra mondo cattolico e mondo radicale – sulle iniziative umanitarie di questo tipo. Ma è evidente, in questo caso, anche il tentativo di delimitare un campo politico critico, se non avverso, alle politiche che il governo Gentiloni (per quanto benedetto persino dalle recenti dichiarazioni di Papa Francesco) sta attuando in materia di immigrazione e diritto di cittadinanza. Emma Bonino, ad esempio, fortemente contraria al “modello Minniti” per la Libia (“ci si ritorcerà contro”, aveva detto) ha ribadito con forza un concetto caro da sempre ai Radicali: la questione dell’immigrazione non riguarda soltanto l’Italia ma il mondo intero, ci sono attualmente 60 milioni di persone in mobilità indotta da guerre o calamità naturali. Sulla trasversalità della campagna, invece: “Siamo persone messe insieme da uno scopo comune: mettere la legalità e legalizzazione al centro della politica. Abbiamo 6 milioni di immigrati regolari in Italia, cittadini integrati, che spesso fanno impresa e danno lavoro anche gli italiani, oltre a pagare le nostre pensioni. Quello che disturba è l’esercito degli irregolari, circa 500 mila, che lavorano in nero o si arrangiano alimentando la criminalità”. Da qui la proposta di legge: abolizione del reato di clandestinità, introduzione di un permesso di soggiorno temporaneo per 12 mesi, reintroduzione del sistema dello sponsor, il sistema a chiamata diretta per l’inserimento nel mercato del lavoro. Mancano 16 mila firme, lo ius soli se n’è iuto e soli ci ha lasciati, c’è un mare in salita da attraversare.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"