L'ex sottosegretario alla Giustizia del Pd Gennaro Migliore (Foto Imagoecomica)

Gennaro Migliore spiega perché sostiene Minniti al congresso

David Allegranti

"Sui programmi l'ex ministro ha una continuità naturale con Renzi. Prima di parlare di alleanze bisogna affermare la nostra identità riformista nella stagione del populismo”

Roma. “La gestazione del congresso è stata troppo lunga e ha disorientato molte persone che dopo la sconfitta del 4 marzo avevano bisogno di una discussione più serrata. Dobbiamo peraltro essere più precisi su quale sia l’obiettivo del congresso”, dice al Foglio Gennaro Migliore, che al congresso sosterrà Marco Minniti. “L’obiettivo è restituire al Pd una guida autorevole e allo stesso tempo avere una linea che non venga messa in discussione un minuto dopo. Questo è stato certamente l’elemento più negativo della vita interna al Pd da quando ne faccio parte. Perché le elezioni si possono perdere, la fede no. Quindi non si deve perdere la vocazione a essere un partito maggioritario, al di là delle contingenze. Una delle cose che non ho condiviso dell’illustrazione della proposta di Zingaretti è che prima di parlare della strategia delle alleanze e di quello che c’è fuori bisogna affrontare il tema della nostra identità riformista nella stagione del populismo nazionalista”.

 

"La strategia delle alleanze, dice Migliore, rientra in una logica di “quadro immutabile del proporzionale. Per questo noi dovremmo rilanciare una proposta: chi prende più voti nella seconda fase, quando votano gli elettori delle primarie, diventa segretario. Chi va ai gazebo deve avere l’ultima parola: è questa la logica delle primarie, che io continuo a difendere come una grande innovazione”. Insomma, per scegliere le cariche apicali è giusto che si pronuncino direttamente gli elettori, non i delegati eletti in assemblea tramite ballottaggio. Ma perché Migliore ha deciso di sostenere Minniti? Secondo il deputato del Pd, l’ex ministro dell’Interno rappresenta una continuità naturale, quanto a contenuti programmatici, con Matteo Renzi. Contenuti che “hanno rappresentato il Pd come forza innovatrice”.

 

La rappresentazione di Minniti quale “uomo di destra” sulla sicurezza, dice Migliore, “assomiglia a quella che veniva data di Renzi su altri capitoli, penso a quello del lavoro. Chi come me viene da un’esperienza di sinistra, che è sempre stata molto decisa sui diritti sociali, umani e civili, ha trovato in Renzi una declinazione riformista e avanzata, certamente non di destra, legata all’estensione dei diritti, per un mercato del lavoro che guardava alla costruzione di rapporti stabili e non solo precari”. Per Minniti, dice Migliore, vale lo stesso discorso sui temi di immigrazione e sicurezza. “Purtroppo il lavoro di Minniti ha raccolto un’eredità molto problematica, a causa degli errori assolutamente devastanti sul piano della gestione e dell’accoglienza dei migranti da parte dei suoi predecessori. Minniti ha affrontato la situazione con pragmatismo, senza nascondere i problemi. Tutto questo ha generato un effetto positivo.

 

"In alcuni passaggi ho avuto delle perplessità sull’azione di Minniti, ma i risultati che poi ho visto – penso agli interventi in Libia – mi hanno fatto cambiare idea. Se qualcuno pensa che bastasse l’imposizione delle mani o un’evocazione astratta per risolvere le violazioni dei diritti umani in un paese non ha mai neanche sottoscritto la convenzione di Ginevra è in malafede”. Le scelte fatte sulla gestione dei migranti da parte di Minniti vanno nella direzione opposta a quelle del suo successore Matteo Salvini, il cui decreto sicurezza “vuole smantellare tutto il sistema di accoglienza per trasformarlo in un sistema di repressione dei diritti umani che peraltro aumenta il numero di irregolari per strada, perché questo accadrà con la soppressione del permesso umanitario”.

 

Adesso, dice Migliore, il Pd non dovrebbe più perdere tempo. “Ormai il quadro è definito, i candidati ci sono, decidiamo la data del congresso”. Ma il Pd serve ancora a qualcosa? Va superato? “La cosa più importante in questo momento storico è comprendere fino in fondo a che cosa serve una forza politica riformatrice, con i piedi ben piantati nella sinistra di questo paese. Di fronte ai populismi nazionalisti e alla loro forza dirompente credo che si debba ragionare in maniera molto laica sul modello del partito novecentesco e su quanto sia adatto alle sfide del presente”. 

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.