Un momento della Direzione nazionale del Partito Democratico (foto LaPresse)

Le fasi uno e due del mini-congresso del Pd che sta in attesa

David Allegranti

Ceccanti: “Lega e Cinque stelle non sono in grado di fare il governo. Quindi bisogna mettersi sulla riva del fiume e aspettare”

Roma. Il Pd traccheggia, prende tempo, occupa lo spazio pubblico con dichiarazioni sulla irredimibile necessità dello stare all’opposizione. In sostanza, non vuole fare la prima mossa, perché tocca a Lega e M5s. Eppure, dice il neo deputato Stefano Ceccanti, “Lega e Cinque stelle non sono in grado di fare il governo. Quindi bisogna mettersi sulla riva del fiume e aspettare”. L’obiettivo, in mezzo alle fumisterie, pare essere chiaro. Bisogna far spompare i due antieuropei, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. “E poi vediamo”, dice Ceccanti.

  

Gli altri, nel Pd, per il momento, recitano il copione dei duri e puri. “Non è Aventino – dice il renziano Dario Parrini, neosenatore e segretario dimissionario del Pd toscano, dopo alcune performance elettorali non esaltanti – ma chiarezza e senso di responsabilità, ricordare che per ora non siamo di fronte a proposte del capo dello stato bensì a ripetute prove di tracotanza di Di Maio e Salvini che ogni giorno ci spiegano che non vogliono alleanze ma sottomissioni. E che non vogliono negoziati ma imposizioni”. 

 

Aggiunge Matteo Ricci, responsabile enti locali: “Noi siamo arrivati terzi e chiaramente non abbiamo il pallino in mano. Tocca a Di Maio e Salvini la responsabilità di cercare soluzioni per dare un governo al paese”. I renziani non si muovono da questa linea, ripetuta ogni giorno in tv, radio, sui giornali, su Facebook, nei messaggi. Lo ripetono Ettore Rosato, Matteo Richetti, insomma tutti, pure l’ultimo dei turbo-renziani ha la dichiarazione che parte in automatico: tocca a M5s e Lega governare. Nel resto del Pd invece le opzioni si fanno meno integerrime. Dario Franceschini invoca la legislatura costituente, Andrea Orlando dice no all’Aventino. I non renziani non usano toni ultimativi. C’è però anche chi, tra i renziani, come Ettore Rosato, sarebbe disponibile a fare un referendum tra gli iscritti: “Non sono d’accordo a fare un governo con i 5 stelle, ma su decisioni importanti potrebbe essere utile una consultazione degli iscritti, anche sulla possibilità eventuale di fare un governo”, ha detto a Radio 1 Rai.

 

Insomma, dire che il primo colpo lo devono sparare Lega e Cinque stelle non è soltanto un artificio retorico per prendere atto della sconfitta, ma un modo per prendere tempo. La questione principale però riguarda il secondo colpo. E’ lì che evidentemente si giocherà il mini-congresso del Pd, cominciato subito dopo le dimissioni di Matteo Renzi da segretario. Non tanto sulla prima fase, dalla quale i Democratici si sono tirati fuori dicendo che il governo con i Cinque stelle non esiste (un’ipotesi però che potrebbe ripresentarsi in un altro momento). Il mini-congresso del Pd si giocherà dopo, quando (se) il governo antieuropeista sfumerà e si riapriranno di nuovo i giochi. I renziani sono pronti a contarsi nei gruppi parlamentari, dove da giorni preparano la futura guerriglia (forse gonfiando anche un po’ i numeri a disposizione).

 

Intanto però c’è da eleggere i presidenti delle Camere. La prima assemblea del nuovo Parlamento ci sarà venerdì e il giorno precedente, giovedì, il Pd riunirà il gruppo. La votazione dei capigruppo però avverrà martedì prossimo (sull’ipotesi Lorenzo Guerini alla Camera ci sono meno problemi che su Andrea Marcucci al Senato, considerato dagli avversari interni troppo renziano). Tutto si tiene: “Vediamo che incastri faranno per le presidenze”, dicono dal Pd. Anche perché poi ci sono le vicepresidenze di Camera e Senato e altri incarichi, ai quali il Pd (traduci: renziani) sembra puntare. Quel che accadrà dopo – dopo presidenze, capigruppo e dopo tentativi falliti di costituire un governo giallo-verde, insomma la fase due – è però da capire. I renziani sembrano intenzionati a mantenere il punto, come si capisce da certe dichiarazioni di lunedì. “Un’apertura da parte di Luigi Di Maio? Non ci interessa minimamente. Noi stiamo all’opposizione, vogliamo starci e ci staremo. Con il M5s non c’entriamo nulla, siamo radicalmente alternativi a loro così come siamo radicalmente alternativi al centrodestra”, ha detto Matteo Orfini alla presentazione del libro di Francesco Cundari, “Déjà vu” (Il Saggiatore). Si sente ancora l’eco delle parole di Walter Veltroni, che sul Corriere, domenica, ha aperto a un’ipotesi di governo con i Cinque stelle. “A certe condizioni e con la regia del Colle il Pd dialoghi”, ha detto l’ex segretario del Pd. “Se a fine crisi emergesse un’ipotesi a certe condizioni programmatiche, come politiche sociali e adesione alla Ue, sarebbe bene discuterne”. Una proposta, ha replicato Orfini, “radicalmente sbagliata”. Anche perché, “il Pd è nato da una brillante intuizione di Veltroni, quella della vocazione maggioritaria; nulla c’entra con lo stare assieme a forze radicalmente diverse dalla nostra”. Il mini-congresso è solo rimandato.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.