Pier Carlo Padoan e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Renzi abbraccia l'agenda Padoan

Luciano Capone

Il ministro si getta nella mischia per fermare i “demolitori” dei conti

Roma. Oggi il Partito democratico presenta a Milano il programma elettorale. Il formato in 100 punti è in un certo senso un ritorno alle origini, ricorda la formula delle 100 proposte della Leopolda del 2011. La parte che riguarda l’economia invece dovrebbe segnare un’inversione di tendenza, sia nei metodi che nei contenuti, rispetto alla linea indicata nei mesi scorsi dal segretario Matteo Renzi. Più lavoro di squadra e concretezza, meno fughe in avanti in solitaria per rincorrere i populisti. Su temi come lavoro, crescita e finanza pubblica ha lavorato un gruppo di economisti coordinati dal responsabile economia del Pd Tommaso Nannicini, composto dai consiglieri di Palazzo Chigi Marco Leonardi e Luigi Marattin, dall’europarlamentare Roberto Gualtieri e uomini vicini a Pier Carlo Padoan. Proprio sui contenuti il ministro dell’Economia ha tratteggiato il quadro macroeconomico entro cui dovranno essere inserite le proposte del Pd (un tassello fondamentale sarà la riforma dell’Irpef a favore delle famiglie). In un’intervista alla Stampa Padoan ha detto “la partita è tra costruttori e demolitori”. E questo, come prima cosa, vuol dire che il Pd dovrà contrapporsi a chi vuole demolire i conti pubblici: “Sento le stesse persone dire che bisogna tagliare il debito e poi che bisogna aumentare il deficit – ha detto il ministro –. Ma il deficit si trasforma in debito”. Si possono recuperare margini di flessibilità – che comunque “si legge debito” – ma nel rispetto delle regole europee, “anche quelle che non ti piacciono”.

 

Padoan ha ribadito il concetto rilanciando sui social il piano sul debito pubblico del Pd pubblicato nei giorni scorsi sul Foglio: “Per costruire il futuro occorre una strategia credibile con obiettivi chiari e strumenti efficaci. – ha scritto su Twitter – Il sentiero stretto della responsabilità si può allargare. Procedendo per esempio come suggerisce Marattin sul Foglio”. La novità di rilievo è che ciò che dice Padoan e il piano sul debito degli economisti dem vanno in direzione opposta a quanto proponeva fino a poco fa Matteo Renzi. L’idea del segretario del Pd, esposta nel suo libro “Avanti”, era quella di alzare il deficit al 2,9 per cento per almeno cinque anni allo scopo di ridurre la pressione fiscale. 

 

L’indirizzo di politica economica che sembra affermarsi nel programma del Pd non è altro che la prosecuzione del cammino lungo il “sentiero stretto” – così lo chiama Padoan – in cui si sono mossi i governi Renzi e Gentiloni: lenta riduzione del deficit, senza eccessivo rigore, per sostenere la ripresa economica. “Se la politica di bilancio di un paese a elevato debito non può prescindere dalle esigenze di riduzione del disavanzo – scrive il ministro dell’Economia nella premessa al Def – la corretta impostazione del ritmo di consolidamento risulta altrettanto importante per le prospettive dell’economia e la sostenibilità delle finanze pubbliche”. E’ questo il “sentiero stretto” lungo il quale può procedere il governo di un paese con conti pubblici fragili come l’Italia, che non può permettersi di uscire fuori strada con promesse in deficit. Ed è proprio lungo questi binari che si muove il piano di riduzione del debito pubblico di Marattin elogiato da Padoan: mantenimento dell’avanzo primario al 2 e necessità di proseguire con le riforme strutturali in una fase in cui la fine del Quantitative easing può portare a un aumento degli interessi sul debito. 

 

Questa costruttiva dialettica interna e l’ingresso in prima persona in campagna elettorale di Padoan possono essere dei valori aggiunti per il centrosinistra, che rispetto alle altre forze può proporre non solo un leader (Renzi), ma una classe dirigente apprezzata oltre i confini del Pd (Gentiloni, Padoan, Calenda, Minniti). Inoltre sposare una linea economica in continuità con l’azione di governo degli ultimi anni non è solo un ancoraggio alla realtà ma, dal punto di vista elettorale, diventerebbe l’unica proposta razionale in una competizione elettorale tutta fondata sul disavanzo pubblico. Su questo terreno i concorrenti sono tanti e più agguerriti del Pd: se la tua ricetta per la crescita è aumentare il deficit al 2,9 per cento, probabilmente sarà più convincente il Di Maio o il Salvini di turno che propone di sfondare il 3 per cento, il 4 per cento o addirittura di uscire dall’euro. La partita, come dice Padoan, è costruttori contro demolitori. Dei conti pubblici.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali