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Uno degli italiani più forti a Bruxelles ci dice come finisce una sinistra disunita

David Allegranti

Intervista all'eurodeputato Pd Roberto Gualtieri, presidente dell’Econ, la commissione per i problemi economici e monetari

Roma. L’iperattivismo degli italiani in Europa e nelle sue istituzioni lascia presagire altre intenzioni, altri lidi, altri progetti. D’altronde, ci sono le elezioni politiche il prossimo anno e chissà che fra Antonio Tajani presidente del Parlamento Europeo, e Roberto Gualtieri, presidente dell’Econ, la commissione per i problemi economici e monetari, due italiani ai vertici dell’Unione, qualcuno non rientri in servizio in Italia. Gualtieri, che oggi è uno dei tre negoziatori del parlamento europeo sulla Brexit, è eurodeputato dal 2009, nel Pd siede insieme a Matteo Orfini tra i diversamente renziani, i “Giovani Turchi”. Renzi lo sente regolarmente quando deve prendere posizione sull’Europa; entrambi condividono la battaglia contro quello che Gualtieri definisce il “sovranismo populista e rabbioso” dei partiti che “cavalcano i maldipancia” antieuropeisti. Condivide con il segretario del Pd la sfida sulla flessibilità, di cui Gualtieri (che oggi è uno degli italiani più influenti a Bruxelles e che è stato il vero artefice del passo indietro della vigilanza Bce sul dossier delle nuove regole sugli Npl) è stato ispiratore, “una grande battaglia riconosciuta da tutti”.

 

Anche per questo oggi, dice al Foglio, “l’Italia in Europa è vista come un paese in ripresa, che ha ritrovato un certo peso nella discussione europea, anche dal punto di vista della capacità di incidere nelle decisioni, già a partire dal 2014. Negli ultimi anni questo protagonismo nel decision making a livello europeo è riconosciuto da tutti. Naturalmente persistono alcuni elementi di fragilità strutturale, come l’alto debito pubblico, anche se la sua sostenibilità di lungo termine è tra le più alte d’Europa”. Poi c’è naturalmente il passaggio elettorale, che è delicato. Non c’è “l’allarme rosso” sui populisti, però, aggiunge Gualtieri, “c’è attenzione, visto la consistenza delle correnti euroscettiche”. Gualtieri, a tal proposito, spera che nel centrosinistra prevalga la ragion politica. “E’ lapalissiano dirlo, ma con questo sistema elettorale serve un’alleanza più larga possibile. Questo dipende dagli interlocutori, che però, nel caso di Mdp, sembrano essere meno interessati. Dopodiché, per quanto sia rilevante la questione, il Pd non deve avere crisi d’identità e puntare sulla forza della propria proposta”. In quanto presidente dell’Econ, spiega per fare un esempio, “io partecipo ai pre-vertici dei ministri delle finanze socialisti, è un club che si è ridotto di numero negli ultimi mesi: prima se ne è andato Sapin, poi Djisselbloem, e ora oltre a noi del Pd, che peraltro esprimiamo le posizioni più avanzate in senso progressista e europeista, sono rimasti i ministri di Portogallo, Slovacchia, Svezia, il greco Tsakalotos (come invitato) e il commissario Moscovici: come è evidente il ministro italiano Piercarlo Padoan è il perno dell’intero club, che perderebbe peso, consistenza e capacità di incidere rispetto al Ppe e ai liberali se il Pd non vincesse le prossime elezioni. Questo carica tutti noi di una responsabilità particolare, e anche Mdp, la cui chiusura pregiudiziale, visto che Mdp e Pd siedono nello stesso gruppo parlamentare in Europa, è incomprensibile e non credo sarebbe capita e seguita dai suoi elettori”. Spesso dall’Italia arrivano attacchi alle istituzioni europee, dai populisti ma talvolta anche dal Pd. Gualtieri dice che bisogna distinguere: “La battaglia per la democratizzazione dell’Europa, per politicizzare la governance e i meccanismi decisionali è una battaglia progressista, europeista. Solo un’Europa politica e democratica può dotarsi delle competenze adeguate a federalizzarsi. Avere una dialettica non significa intraprendere una battaglia contro l’Europa. Il discorso va impostato senza caricature e l’Italia ha contribuito a democratizzare l’istituzione, portando avanti una dialettica di merito. L’Europa, d’altronde, siamo noi”. Pare proprio di sentire un manifesto politico.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.