Foto Matt Deegan via Flickr

Le testate contro la democrazia

Claudio Cerasa

La simmetria tra chi sogna di cancellare i corpi intermedi della democrazia e chi sogna di “reagire” contro i giornalisti. La questione è più grande di CasaPound e riguarda un partito che trasforma i cronisti in nemici del popolo. Aprite gli occhi

Fino a qui siamo tutti d’accordo, no? La testata che il giornalista Daniele Piervincenzi ha ricevuto mercoledì pomeriggio a Ostia da un signorotto della malavita locale non è solo una testata contro un cronista che provava a fare bene il suo mestiere ma è prima di tutto una testata rivolta contro un simbolo della democrazia: la figura del giornalista. E fino a qui tutto chiaro.

 

Il problema però arriva se allarghiamo l’obiettivo della telecamera, se da Ostia ci spostiamo all’Italia e se tutti insieme proviamo a rispondere a una domanda più complicata che in pochi si sono posti all’indomani della testata ricevuta dal cronista di “Nemo”. La domanda è semplice: siamo sicuri che tutte le forze politiche che hanno condannato la testata contro Daniele Piervincenzi siano in prima fila nel prevenire le manganellate contro i giornalisti? Difendere la figura del giornalista, lo abbiamo ripetuto tutti in queste ore, è un modo per difendere un simbolo della democrazia. Ma se è vero questo principio bisogna anche dire che c’è qualcuno che negli ultimi anni in Italia si è impegnato più degli altri a trasformare i giornalisti nel simbolo di una democrazia marcia, orrenda, viscida, da superare: una minaccia contro un nuovo avvenire dove l’unica fonte di verità non può che derivare da ciò che è disintermediato (la rete) e non da ciò che è mediato (la stampa).

 

Sarebbe bello poter circoscrivere questo fenomeno a qualche elettore di CasaPound ma la realtà che in molti fanno finta di ignorare è che dal 2007 a oggi c’è un partito che ha qualche punto percentuale in più rispetto ai fascisti del Nuovo millennio e che ogni giorno invita il tribunale del popolo a punire i giornalisti considerati nemici. Le testate di Roberto Spada sono state violente e sanguinarie (anche se purtroppo, appiccicando il bollino della mafia anche a una testa, c'è chi riesce nel miracolo di rendere ridicole anche cose terribilmente serie). Ma esistono anche delle altre testate scagliate contro la democrazia (oltre ovviamente a quelle scagliate ogni giorno dai criminali che minacciano di morte alcuni giornalisti, ma quello è un altro campo) che meriterebbero di essere ricordate per capire perché l’insofferenza espressa con violenza dal signorotto di Ostia è simile a quella di cui è portavoce un movimento che sogna di governare l’Italia prendendo a testate i simboli della democrazia – a partire dai giornalisti non amati.

 

Un movimento in cui il capopopolo confessa di voler mangiare i giornalisti “solo per il gusto di vomitarli”, in cui il candidato premier compila liste di proscrizione per ribellarsi contro i giornalisti non graditi (“è tempo di reagire!”), in cui i massimi dirigenti definiscono i giornalisti dei “walking dead”, in cui i consiglieri regionali promettono che “i pennivendoli che nascondono la verità pagheranno per tutto questo”, in cui i senatori invitano i giornalisti a “buttarsi a mare con una pietra al collo”, in cui il blog capofila del movimento afferma che “i disonesti sono i giornalisti”, in cui alcuni militanti alle feste del movimento aggrediscono i giornalisti urlando “venduti”, “buffoni”, “bastardi” (è successo lo scorso anno a Palermo, è successo quest’anno a Rimini), in cui alcuni militanti si sentono in diritto di protestare contro articoli non graditi entrando nelle redazioni dei giornali (è successo a Genova con il Secolo XIX) minacciando i giornalisti (“Vi auguro che non salti il sistema perché voi giornalisti sarete i primi a pagare”). Servirebbe più spazio di quello che abbiamo per raccontare nel dettaglio tutte le altre testate contro la democrazia offerte da un movimento che si candida a guidare l’Italia. Ma serve poco spazio per ricordare un concetto semplice: esiste una simmetria perfetta tra chi sogna di cancellare i corpi intermedi della democrazia rappresentativa e chi sogna di cancellare i corpi intermedi del giornalismo tollerando gli intolleranti (“Nel nome della tolleranza, diceva Karl Popper, dovremmo tutti rivendicare il diritto a non tollerare gli intolleranti”) e dall’altra parte esiste una simmetria inconfessabile tra chi invita a picchiare duro contro i giornalisti non graditi e chi picchia duro contro i giornalisti non amati (e a volte, non sempre involontariamente, le testate contro la democrazia arrivano anche da alcune testate). “Usano le loro penne come dei manganelli e pretendono che i cittadini e il MoVimento 5 Stelle, che è al loro fianco, se ne stiano fermi e immobili, senza batter ciglio”. Sarebbe bello poter dire che questa frase appartiene a Roberto Spada. Ma purtroppo come tutti sappiamo questa frase (10 settembre 2017) appartiene al capo di un movimento che si candida a guidare l’Italia. E per misurare il peso delle testate contro la democrazia, e per denunciarle senza esserne complici, non serve vedere scorrere un po’ di sangue su un volto. Serve solo un po’ di buon senso per smetterla di non vedere quello che tutti vediamo. Testine.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.