L'arresto di Roberto Spada (foto LaPresse)

Ostia, la politica e il trono di Spada

Salvatore Merlo

Furbizie, automatismi, inciviltà di una campagna elettorale da pazzi

Mentre Roberto Spada, il malacarne di Ostia, il picchiatore che non pratica la boxe come scienza della determinazione individuale e infatti non assomiglia a un personaggio tormentato di Jack London ma a un burbanzoso Scarface sudamericano, mentre quest’uomo tarchiato e tatuato veniva finalmente portato via in manette dai carabinieri, mentre lui protestava nel suo romanesco storpiato, aspro e canagliesco, intanto, sul pontile sfregiato di Ostia, qualcuno sfondava il vetro di un furgoncino di Sky tv, portandosi via tutta l’attrezzatura per le dirette televisive. E davvero questa città nella città, questo luogo che si spalanca sul mare, e che all’inizio del secolo sarebbe dovuto diventare una località balneare disegnata sul modello di Hastings, lì dove soggiornava la regina Vittoria, questa città nella città, cresciuta nel disordine speculativo degli anni Sessanta e Settanta come un fungo atomico, tra agghiaccianti merletti di cemento e odore di saccheggio, si presenta come un luogo che di cose liete e innocenti ne offre poche. “Ci vorrebbero dieci anni di commissariamento”, ha detto ieri il prefetto Domenico Vulpiani, a Simone Canettieri del Messaggero. E invece tra meno di dieci giorni, il 19 novembre, si va al ballottaggio, tra i Cinque stelle e il centrodestra, in un’elezione che lacera la sinistra, con una campagna elettorale che adesso, dopo l’aggressione del giornalista Daniele Piervincenzi, dopo la testata, il naso rotto e il sangue, dà la misura di una politica impazzita: patenti di antimafiosità e antifascismo che vengono tolte e attribuite, accuse di connivenze, strumentalità, chiacchiere e nuvole di altro gas. 

 

Allora Virginia Raggi, sindaca di Roma, si affaccia sul blog di Beppe Grillo, il megafono del Movimento cinque stelle, lì da dove partivano le liste di proscrizione dei giornalisti, le gognette in cui si esponeva il pennivendolo all’insulto di massa, e annuncia una manifestazione, per domani pomeriggio, a Ostia, #bastaimpunità, scrive anche Grillo, non si può aggredire un giornalista che fa domande e passarla liscia. “Sapete bene come è stato amministrato il X Municipio in tutti questi anni, dai partiti di destra e dai partiti di sinistra”, scrive Raggi. “Lo sapete benissimo. Oggi vi trovate davanti a una svolta. Qui gli Spada l’hanno sempre fatta da padrone. E sapete bene che la destra ha detto che è pronta a fare l’accordo con CasaPound. Quindi con chi si allea la destra? Con gli Spada?”.

 

E davvero in un attimo s’intuisce di essere in mezzo a una partita terribile, cui non interessa affatto la complessità, ma il gioco a spese della complessità, perché in questione, evidentemente, non è l’intreccio degradato che ha trasformato alcune strade di Ostia in un luogo in cui si può menare impunemente un giornalista che fa il suo mestiere, ma la posta in gioco è il potere: la vittoria elettorale, a ogni costo, la riconferma del Movimento cinque stelle in un quartiere che alle scorse elezioni aveva regalato a Virginia Raggi, al secondo turno, una vittoria napoleonica: 70 per cento. E così Roberto Spada, con il suo naso schiacciato e le sue braccia gonfie, la sua famiglia criminale, il suo denaro e la sua ignoranza, tutto il suo mondo di violenza e di rapina, diventa una gigantesca palla di fango che la politica romana si scaglia addosso, in un ping pong desolante e impazzito in cui le parole antimafia e antifascismo, articolate con furba spensieratezza, puzzano in bocca a chi le pronuncia come un pezzo di carne marcia. “Basta fare una veloce ricerca su internet e vedere come Roberto Spada (quello dell’aggressione di ieri) sia stato un grande sostenitore dei grillini, e lo abbia dichiarato ampiamente”, risponde allora Giorgia Meloni, su Facebook. E Spada in effetti aveva prima appoggiato pubblicamente il Movimento cinque stelle, che se n’era subito dissociato, e poi i fascisti di CasaPound, che si sono dissociati con qualche balbettio e in ritardo. Ma tutto questo cosa significa? Fa del M5s il partito dei criminali? Certo che no. E Meloni cosa c’entra con gli Spada? Niente. E i voti di CasaPound? Li vogliono tutti, anche i Cinque stelle. “Alla fine voteranno per noi”, aveva confessato a questo giornale Paolo Ferrara, il capogruppo del M5s in Campidoglio. Li vogliono tutti quei voti. E questo allora fa di tutti dei mafiosi o dei fascisti?

 

Ma ecco la giostra elettorale, con il suo tempo fermo e vanamente tumultuoso, che approfitta del vischioso acquitrino dell’emotività collettiva, dei fatti di cronaca e di violenza, pasticcia e impiastriccia ogni cosa, trasforma la voce della civiltà in un birignao infantile e furbesco. “Sabato manifesteremo, senza bandiere, contro le mafie”, scrive Raggi. “E’ necessario fare tutti un passo indietro per rispondere a una richiesta che nasce dalle associazioni e dalla parte sana del territorio contro tutte le mafie e la criminalità”, dice la sindaca, mentre scaglia il clan degli zingari di Suburra, come fosse un sampietrino, o una testata sul naso, contro la sua avversaria elettorale, Giorgia Meloni. E infatti nessuno fa un passo indietro, ma al contrario ciascuno organizza la sua piazza antimafia. Sabato i Cinque stelle, poi Fratelli d’Italia, e infine, giovedì 16, le associazioni antimafia della sinistra, Libera di don Ciotti e la Federazione nazionale della stampa, ciascuno sottintendendo, è chiaro, che i mafiosi sono ovviamente gli altri. E tutto questo mentre persino il Pd, che per una volta, avendo perso le elezioni, aveva l’occasione di tenersi fuori, e di tacere, non resiste, dunque pubblica sul profilo Twitter del partito la foto di Spada arrestato, con la fattispecie di reato, “violenza privata aggravata da metodo mafioso”, e ci imprime sotto il proprio simbolo, come se l’avessero arrestato loro. Ecco allora Lorenza Bonaccorsi, presidente del Pd del Lazio: “Giorgia Meloni ieri ha dichiarato di guardare con interesse agli elettori di CasaPound. La leader di Fdi, alleata di Berlusconi e Salvini, si riferiva all’esponente del clan Spada che sostiene proprio Casapound e ha aggredito a testate e colpi di bastone la troupe di Nemo?”.

 

L’antimafia e l’antifascismo, dunque, che si proiettano intrecciati nella campagna elettorale per storpiature e allitterazioni, strumentalità e furberie, un repellente imbuto dove precipitano roteando, tutti insieme, ignorati, i fatti: di un giornalista picchiato perché fa domande non importa a nessuno, in realtà, tanto meno a quelli che la violenza contro i cronisti la coccolano e la assecondano, professionalmente, con il linguaggio: “Siete dei servi”, “strisciate”, “vi mangerei per il solo gusto di vomitarvi”. E Ostia? Ostia rimane lì, con il suo pontile sfregiato, i cassonetti che la notte prendono misteriosamente fuoco, i lavori pubblici che si accendono in campagna elettorale e si spengono a urne chiuse, il degrado e l’abbandono di interi reticoli di strade. Roberto Spada, da ieri sera, dorme a Regina Coeli. Forse fino alle prossime elezioni politiche. Poi ce lo dimenticheremo. Per un po’.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.