Foto LaPresse/Fabrizio Corradetti

CasaPound, una risposta sui martiri

Claudio Cerasa

Davide Di Stefano, responsabile romano del movimento di estrema destra, scrive al Foglio: "Di questo passo, la migliore campagna elettorale per CasaPound la farete voi"

Al direttore - Confesso di essermi perso qualche passaggio nell’evoluzione del suo quotidiano. Ero rimasto a un giornale liberale, molto distante dalle mie idee, ma culturalmente vivace, curioso del mondo, aperto ai contributi eretici e saldamente garantista. Ieri, leggendo la paginata dedicata a CasaPound, ho trovato una brutta copia de l’Espresso: stesso approccio poliziesco alla politica, stesso dossieraggio arraffazzonato, persino gli stessi tic savianeschi, con la carta bianca lasciata a Federica Angeli, ormai stabile numero tre nella classifica dei giornalisti martiri, dopo Saviano stesso e Lirio Abbate. Mai che a qualcuno venga in mente di chiedere conto alla massima esperta autoproclamata della criminalità lidense di certi imbarazzanti endorsement in favore di Andrea Tassone, l’ex presidente del municipio del Pd, arrestato nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale. Il Foglio che sbertucciava il giornalismo manettaro e i moralisti a corrente alternata ci sarebbe andato a nozze, con una storia del genere. Oggi preferisce darle spazio per rilanciare la bufala grottesca del sodalizio criminale sancito a mezzo Facebook fra CasaPound e i clan del litorale. Così come è molto vicina al grado zero dell’analisi politica l’inchiesta sulla “galassia finanziaria fascista”, che consta di qualche banale attività commerciale privata. A meno che il Foglio non abbia deciso di adottare sull’argomento un punto di vista alla Ingroia, per cui se sei “fascista” e vuoi aprire un bar, una rosticceria o un chiosco di grattachecche, ti occorra preliminarmente dimostrare che i soldi non derivino da qualche fantomatica internazionale nera. Ma, mi perdoni, l’accento più surreale è quello alla “legittimazione spensierata” di Cpi da parte dei giornalisti che partecipano ai suoi eventi, evidentemente ospitato su un giornale diretto da un omonimo di quel Claudio Cerasa che anni fa venne a presentare il suo libro, “La presa di Roma”, proprio in via Napoleone III. Detto questo, la mutazione del Foglio nel supplemento di Repubblica è un problema che non mi riguarda. C’è però una questione politica sottesa a tutto il discorso che forse vale la pena di affrontare, e cioè il fatto che l’approccio poliziesco serve esattamente a paralizzare la riflessione sui temi politici cruciali che CasaPound affronta di petto, ricavandone consenso, mentre la vecchia politica (e il vecchio giornalismo) hanno colpevolmente abbandonato. E’ molto comodo auto assolversi immaginando che i successi degli avversari derivino da losche trame nazionali e internazionali e non da un’attenzione rivolta a una fetta di popolazione che le élite hanno dimenticato, quando non apertamente insultato. In questo modo, però, la forbice tra chi racconta il paese e chi lo vive si allarga drasticamente. La sinistra non l’ha capito, ed ecco come si è ridotta. La destra liberale ha deciso di inseguirla sullo stesso terreno, con ritardo temporale e concettuale. Di questo passo, la migliore campagna elettorale per CasaPound la farete voi. E noi potremo risparmiare sui manifesti. Sia mai che ci riusciamo veramente, a creare una galassia finanziaria.

Davide Di Stefano, responsabile romano di CasaPound

   

Nel 2010, quando gentilmente mi invitaste a parlare del mio libro, ricordo di aver sentito con le mie orecchie, lo ricorderà anche lei, che CasaPound mai e poi mai avrebbe giocato con la violenza e mai e poi mai avrebbe utilizzato parole ambigue di fronte a episodi di violenza. Dopo il 2010 è arrivato però il 2011. E nel 2011, vivendo a Roma, ricordo un piccolo episodio che mi ha colpito. Lo ricorderà anche lei. Era il 3 novembre del 2011. Nel quartiere di Prati Fiscali cinque ragazzi, attivisti del Partito democratico, sono stati pestati con mazze di legno e con spranghe e sono stati tutti ricoverati in ospedale. In quell’episodio fu arrestato un ragazzo di nome Alberto Palladino. Un ragazzo di CasaPound. Le accuse le ricorderà: lesioni personali e porto abusivo d’armi. Il 22 settembre del 2017 Palladino è stato condannato in via definitiva. Due anni e due mesi. Ho cercato con curiosità in questi anni una condanna di CasaPound, a questo gesto, ma ho fatto fatica a trovarne una vera. Marco Pannella diceva giustamente che oltre all’orrore del fascismo esiste anche un orrore di un anti fascismo post fascista che in alcuni casi diventa una sorta di nuovo fascismo. L’anti fascismo stupido non ci piace. Ma non ci piacciono neppure i fascisti che si dichiarano tali e che pur considerandosi non violenti fanno poco per condannare la violenza quando andrebbe condannata. Quanto al resto, grazie della lettera e della replica. Ma zeru smentite, come direbbe Mourinho. E i dati di fatto che abbiamo descritto restano quelli. Compreso il fatto che, come ha scritto ieri il Foglio, il sodalizio che lega il cognome Spada e CasaPound non è criminale ma è elettorale – e di questo sono certo che CasaPound avrà occasione di parlarne dopo le elezioni di Ostia. Quanto ai giornalisti martiri, attenzione. Un conto è criticare un metodo di lavoro (come fa il Foglio) un altro è ironizzare sulle minacce di morte che ricevono i giornalisti. I martiri esistono anche nel giornalismo e visto il mito a cui si ispira CasaPound non dovrebbe mai fare a meno di ricordarlo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.