Dario Francheschini, foto LaPresse

Franceschini non è un politico, è una psicosi: il cattivo da retroscena

Salvatore Merlo

“Vogliono far fuori Matteo dalla segreteria o da Palazzo Chigi. E c'è pure Veltroni, con Minniti. Tutti seguono Dario”...E boom!

Roma. Era il 27 giugno 2017, all’indomani delle amministrative, e Dario Franceschini, ministro della Cultura, gran capo corrente del Pd, consegnava a Twitter queste parole, accompagnate da inesorabili grafici sulla perdita di consensi: “Bastano questi numeri per capire che qualcosa non ha funzionato? Il Pd è nato per unire il campo del centrosinistra, non per dividerlo”. Pochi minuti dopo arrivava una risposta di Ernesto Carbone, deputato renziano. “Dario Franceschini come sempre fiuta il vento. Speriamo per lui che il suo naso sia quello di una volta”. E Carbone voleva riecheggiare il vecchio adagio che accompagna il ministro sin dai tempi ormai remoti della Dc, quando, tra i giovani democristiani, si faceva dell’ironia parafrasando il vecchio spot della Barilla: “Dove c’è Franceschini c’è maggioranza”. E insomma, se il più abile traghettatore di gorghi e di correnti che il centrosinistra ricordi, se il ragazzo cresciuto alla scuola di De Mita, Marini e Zaccagnini si allontana da Matteo Renzi – diceva Carbone – qualcosa sta per succedere.

 

E in effetti i rapporti tra il ministro e il segretario del Pd da allora sono rimasti piuttosto freddi, per mesi, e ancora lo sono, mentre si avvicinano le elezioni in Sicilia (e quelle di Ostia), il 5 novembre. Due chiamate alle urne che pare siano destinate ad andare piuttosto male per il Pd e dunque per il suo segretario Renzi, che ogni giorno che passa, almeno così dicono quei deputati che si definiscono renziani, osserva con una certa preoccupazione l’ingrossarsi di un partito nel partito, un gruppo trasversale, composto da Andrea Orlando, Michele Emiliano, e appunto Franceschini, tutti descritti come attori di una specie di complotto ad assetto variabile: secondo alcuni il piano dei congiurati sarebbe quello di evitare che Renzi ritorni a Palazzo Chigi (ma questo lo eviterà molto più verosimilmente l’esito del voto, e la probabilissima grande coalizione), mentre secondo altri l’idea sarebbe quella di scippare a Renzi – addirittura – la segreteria. Chissà. La vicenda è fumosa e abbastanza evanescente, a metà tra la psicosi (renziana) e il gusto per la letteratura thriller cui talvolta si abbandonano i retroscenisti da Transatlantico.

 

Tuttavia Franceschini, come un tempo D’Alema, si presta, per trascorsi e biografia, a questo genere di ricostruzioni e di retropensieri. E d’altra parte il ministro della Cultura è pur sempre quello che, nella storia recente, ebbe il fiuto di sganciarsi da Enrico Letta un minuto prima del patatrac per abbracciare, con ammirevole tempismo, la primavera renziana. E dunque osservarlo nelle sue danze è sempre utilissimo, se non persino istruttivo. E cosa fa adesso Franceschini? E’ passato dal vestire i panni dell’oscuro super nemico, a quelli dell’entusiasta. Ultimo tweet, domenica: “Dal discorso di Matteo Renzi a Pietrarsa una linea chiara su contenuti e alleanze per battere destre e populismo”. E il fatto, però, sottolineano maligni i suoi colleghi di partito, è che Franceschini celebra un Renzi che si è piegato a lui su tutta la linea, dalla legge elettorale con le coalizioni fino alle aperture alla sinistra, persino quella degli scissionisti di Pierluigi Bersani, quelli che proprio Renzi non lo vogliono vedere mai più a Palazzo Chigi neanche per sbaglio.

 

E insomma, par di capire, è Franceschini a dettare i tempi, a misurare la natura del gioco, come un regista classico del calcio, mentre Renzi insegue la palla. Ma è davvero così? Forse sì, forse no. Ma tanto basta ad accelerare i timori della corte renziana, che non sempre capisce le mosse del capo, e comunque teme tutto ciò che cresce al di fuori del recinto, e infatti si abbandona da giorni ai collegamenti più suggestivi e acrobatici: Gentiloni e Minniti, Mattarella e Veltroni, tutti tramano per fare le scarpe a Matteo. Tutti seguono un disegno di… Franceschini. Pare troppo persino per lui. Che sarà machiavellico, ma ancora non è Machiavelli. E sarebbe infatti da svenimento scoprire invece che del complotto contro Renzi fa parte pure Renzi. Il quale è pronto a fare le primarie, o a cedere una poltrona, quella di Palazzo Chigi, che sa comunque non potrebbe essere sua.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.