Romano Prodi (foto LaPresse)

Incubo: Prodi a Palazzo Chigi con i voti di Grillo e il ghigno di D'Alema

Claudio Cerasa

Ho fatto un sogno. Forse per un’indigestione di ottimismo. Ho sognato la fusione tra la sinistra del risentimento e lo sfascio populista. Ho sognato gli anti populisti che si suicidano sfidando i populisti a colpi di populismo. E’ solo un sogno, no?

Lo confesso: ho fatto un sogno non ottimista. Ho sognato Romano Prodi a Palazzo Chigi con i voti di Beppe Grillo e il ghigno di Massimo D’Alema. Ho sognato una campagna elettorale diversa rispetto a quella che ci si potrebbe aspettare oggi, o forse troppo simile a quella che stiamo vedendo oggi. Ho sognato una campagna elettorale dove i leader dei più importanti partiti italiani fanno l’esatto opposto di quello fatto dai loro colleghi europei e dove invece che sfidare i populisti a colpi di anti populismo scelgono di sfidare i populisti a colpi di populismo. Urla contro urla. Demagogia contro demagogia. Anti sistema contro anti sistema. Anti establishment contro anti establishment. Ho sognato una campagna elettorale bellissima – in quale altro paese sulla terra possono confrontarsi attori come Grillo, Renzi, Berlusconi? – ma incredibilmente fuori dal mondo, dove alla fine dei giochi gli anti populisti per eccesso di populismo non riescono a vincere le elezioni e offrono ai populisti la possibilità di giocare una mossa che forse neanche in un film di Dario Argento.

 

Nessuno vince le elezioni. La legge elettorale che doveva sfavorire Grillo (Rosatellum) in realtà ha sfavorito le forze alternative a Grillo (Renzi e Berlusconi) perché le coalizioni a destra e a sinistra hanno portato a far votare Pd e Forza Italia meno persone di quante ne sarebbero arrivate se Pd e Forza Italia fossero andate al voto da soli (senza coalizione). E così (ma è solo un incubo, no?) Berlusconi non ha i numeri per governare con Salvini (e fin qui). Renzi non ha i numeri per governare con Pisapia (e fin qui). Berlusconi non ha i numeri per governare con Renzi (ahi). Di Maio non ha i numeri per governare da solo (e mai li avrà). La sinistra non ha i numeri per governare con nessuno (e vabbè). Ma dove a un certo punto sul blog di un clown eterodiretto da un’azienda privata spunta come nel 2013 una lista di possibili candidati da votare, stavolta non per il Quirinale ma per Palazzo Chigi. Una lista dove in cima non si trova né Pier Camillo Davigo, né Ferdinando Imposimato, ma un nome che se messo in campo in Parlamento chissà che effetti potrebbe creare. Un nome che fu già proposto nel 2013 (Quirinale) e che in fondo non farebbe altro che prendere atto di un fenomeno difficile da negare: la sovrapposizione sempre più netta e sempre più forte e sempre più chiara tra il Movimento 5 stelle e il percorso della sinistra alternativa al modello Renzi e al modello Macron. E’ il dalegrillismo. La fusione tra la sinistra del risentimento e lo sfascio populista.

 

... Poi mi sono svegliato. Ho detto che no, non è possibile. In fondo
è tutto così ovvio. In fondo tutti capiranno, presto, che l’unico modo per arginare il populismo è sfidare
il populismo non imitare
il populismo. In fondo tutti capiranno presto che l’unico modo per sfidare il protezionismo o il nazionalismo
è quello di trasformare la protezione dell’Europa in una grande bandiera

Immaginate per un attimo Romano Prodi candidato premier del Movimento 5 stelle, con il consenso di Massimo D’Alema e di Romano Prodi. Immaginate il suo nome proposto al presidente della Repubblica. Immaginate, nei confronti della sinistra, la stessa operazione di scouting portata avanti nel 2013 da Pier Luigi Bersani. Immaginate che l’ex presidente del Consiglio italiano, che come gran parte della vecchia guardia della sinistra tende a utilizzare nei confronti di Renzi parole infinitamente più pesanti rispetto a quelle offerte per inquadrare il grillismo, scelga di dire di sì – ma è solo un sogno vero? – e che dica una frase del tipo: ho pensato a lungo, ho pensato a fondo, ho deciso che all’Italia che chiede di cambiare non si può dire di no, ma tocca finalmente dire di sì. Immaginate tutto questo e immaginate che effetto avrebbe tutto questo su una classe dirigente che a sinistra tranne rarissime eccezioni continua a considerare, a fronte di una situazione di non governabilità, un accordo con il centrodestra un incubo chiamato inciucio e a intravedere nell’asse con il Movimento 5 stelle un sogno chiamato futuro (“Il Movimento 5 stelle è una forza di centro ed è un argine alla deriva populista”, ha detto Winston Churchill Bersani a inizio anno). Immaginate tutto questo e immaginate cosa potrebbe accadere al Pd in Parlamento di fronte a uno schema in fondo simile a quello che abbiamo visto alle ultime elezioni a Roma, dove un pezzo importante della borghesia della Capitale d’Italia ha scelto con grande lungimiranza di considerare il candidato grillino un’opzione da valutare e non un nemico da combattere (e chissà se è solo un segno dei tempi che proprio a Roma, qualche giorno fa, un vecchio prodiano, ex presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, è entrato a far parte della squadra di Virginia Raggi, con un ruolo importante nel board cultura del sindaco, ma sarà certamente solo una coincidenza, in fondo nei sogni è tutto fluido, tutto liquido, tutto confuso, tutto irreale, no?).

 

Ho sognato tutto questo (sarà stata un’indigestione di ottimismo). Ma poi mi sono svegliato. Ho detto che no, non è possibile. In fondo è tutto così ovvio. In fondo tutti capiranno, presto, che l’unico modo per arginare il populismo è sfidare il populismo non imitare il populismo. In fondo tutti capiranno presto che l’unico modo per sfidare il protezionismo o il nazionalismo è quello di trasformare la protezione dell’Europa in una grande bandiera. In fondo tutti capiranno presto che l’unico modo per vincere le elezioni, o quantomeno per non perderle, è quello di cazzeggiare, sì, di divertirsi, sì, di prendere treni, sì, di raccontare barzellette, sì, ma è prima di tutto quello di opporre alla forza immobile della pazzia la forza tranquilla della ragione. E’ così ovvio. E’ andata così ovunque negli ultimi mesi. In Grecia. In Olanda. In Germania. In Francia. In Portogallo. A Malta. Persino in Austria. Persino in Spagna, Catalogna a parte. E’ così ovvio. Un conto è la realtà. Un conto è un incubo. Il populismo non si batte con il populismo. E’ ovvio. E’ ovvio no?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.