Il ministro dell'Interno Marco Minniti sul palco della Festa del Foglio

Minniti lancia il suo manifesto: "L'Italia prima di tutto"

Redazione

Il ministro dell'Interno spiega perché i sindaci (anche quelli grillini) sono al cuore della sicurezza nazionale. Immigrazione, Isis, Libia, Europa, Renzi: il capo del Viminale alla festa della Foglio

"Non sono io ad avere cambiato paradigma, è la situazione che è cambiata". Alla festa del Foglio il ministro dell'Interno Marco Minniti, intervistato da Salvatore Merlo, si conferma rappresentante sui generis dell'esecutivo che - quasi provocatoriamente - Massimo D'Alema aveva definito un mero "ministro tecnico". "Il ministro dell'Interno si occupa della sicurezza del paese e anche dei flussi migratori", dice Minniti. "Oggi la sicurezza di un paese è tutta incentrata sulla minaccia del terrorismo internazionale, una minaccia che risiede fuori dai confini nazionali. Ed è chiaro che il ministro dell'Interno se ne occupi".

 

Minniti è anche il ministro che ha incontrato tutti, dai capi di stato del mondo ai capi tribù libici: "I flussi migratori - dice sul palco della festa del Foglio -, che sono una questione epocale, sono un problema che ci accompagnerà nel futuro. Purtroppo non è una partita da maghi come crede qualcuno, ma è molto più impegnativa. Si risolve fuori dai nostri confini, in Africa. Ed è evidente quindi che il ministro dell'Interno deve occuparsene andando ad affrontare le origini delle cose".

 

L'idea di sicurezza di Minniti, spesso giudicato proprio da D'Alema un ministro di destra, si basa su un cambiamento di paradigma da parte della sinistra riformista. "Il riformismo è un processo progressivo, l'assalto al palazzo d'inverno non funziona. Vede, la storia della sinistra italiana è costellata di drammatici errori, perché non ha colto i momenti cruciali del paese. L'Italia ha avuto una sfida del terrorismo rosso e a sinistra si diceva 'Guardate, quelli che usano le armi sono compagni che sbagliano'. Invece sarebbe stato giusto dire 'Quelli che usano le armi non sono compagni'. Ora, penso che di fronte alle grandi sfide della sicurezza l'Italia debba rispondere come sistema paese. Il sistema paese è una formula moderna: l'Italia prima di tutto. Solo così saremo più forti e credibili nel nostro rapporto con gli italiani".

  

Minniti è anche l'unico ministro che non viene attaccato dal M5s. Come ha fatto a conquistare, per esempio, la sindaca di Roma Virginia Raggi?. "Sono convinto che in una idea moderna delle istituzioni democratiche del nostro paese il ministro dell'Interno abbia una naturale alleanza coi sindaci di questo paese. Il governo ha voluto trasmettere al paese un messaggio semplice: la sfida della sicurezza la vinciamo insieme se mettiamo in campo una risorsa più diffusa: i sindaci. Io sono un ministro che passerà, ma se devo dire qualcosa a chi mi succederà è: su questo non disperdiamo un patrimonio". "Un paese vive sempre su un bilanciamento che esiste tra il punto di vista della forza di una maggioranza e la garanzia che questa forza è contemperata, che quando trasferita sul territorio ha un equilibrio: non può esserci mai una dittatura di una maggioranza". 

 

Il ministro ha poi affrontato il rischio del terrorismo islamico per il nostro paese, in rapporto a quanto accade in medio oriente. "La caduta di Raqqa è un evento molto importante. In poco più di tre anni abbiamo avuto un'evoluzione dello Stato islamico che non era per nulla scontata. L'Isis era capace di condurre campagne militari, di controllare un territorio e di fare attentati terroristici. Oggi le sue capacità sono state colpite al cuore. E' caduta Mosul ed è caduta Raqqa. Ma la minaccia non è finita, anzi, è possibile che il Califfato risponda con azioni terroristiche per provare a dimostrare che l'Isis è ancora forte". La chiave è la gestione del dopo conflitto in Iraq e Siria: "Il dopoguerra è più importante della guerra. Facciamo parte di coalizioni internazionali brave a vincere sul terreno, molto meno brave a costruire il dopo, basti guardare a Iraq e Libia. I foreign fighter sono una questione abbastanza strana. Sono tra i 25 e i 30 mila, provenienti da 100 paesi del mondo: la più grande legione straniera che il mondo abbia mai conosciuto. Questi, sconfitti sul campo, cercheranno ora di tornare. Abbiamo migliaia di foreign fighter che sono partiti per l'Europa, soprattutto in alcuni paesi. Molti di loro sono partiti dal nord Africa. E' lecito chiedersi se loro possano usare le rotte dei migranti. Un anno e mezzo fa, questo non era vero, ma oggi siamo in una fase di diaspora e il rischio è diventato concreto. Da qui l'ossessione che abbiamo avuto in questi 10 mesi sul confine meridionale della Libia, che è sempre più il confine meridionale dell'Europa". 

 

Sui risultati scarsi ottenuti dall'Ue in chiave anti-terrorismo, Minniti spiega la sua versione: "So perfettamente che l'Europa poteva fare di più, ma anche l'Italia doveva fare qualcosa, per questo ci siamo mossi. Per questo abbiamo fatto un accordo col governo libico per concludere un accordo su immigrazione e terrorismo, per questo abbiamo incontrato le tribù. Si è costruito un percorso che ha fatto diventare l'Italia punto di contatto tra Europa e Africa settentrionale. Abbiamo chiamato gli altri a misurarsi coi nostri problemi. Se oggi l'Italia è meno sola è perché l'Italia ha fatto. Bisogna fare, e poi raccontare quello che si è fatto. Non si può costruire una collaborazione se gli altri non vedono che tu per primo credi in quello che stai facendo, nessuno ti segue se non sanno dove tu stai andando".

 

Tornando alla politica interna, Minniti ha ribadito di essere orgoglioso di essere un "uomo di sinistra". "Dopo Renzi per me c'è Renzi. Ho sostenuto la sua candidatura al congresso del mio partito con grande convinzione e non ho cambiato idea". "Dobbiamo abituarci a qualcuno che sia in grado di fare qualcosa senza pensare a quello che arriva dopo. Non sono mai andato di fretta. Sono stato sottosegretario nel governo D'Alema nel 1998 e sono poi stato ministro, per la prima volta, solo nel 2016. Per me il punto più importante della mia carriera politica e di governo sarà quando, finito il mio incarico, qualcuno dirà: 'Minniti ha concluso il suo mandato con dignità e onore'".

 

"La stabilità è una condizione che consente di raggiungere un fine. Il fine è quello del riformismo. Ma la stabilità fine a se stessa non serve a nulla", ha concluso Minniti. "Pensiamo in rapporto a quello che pensa la gente davvero. Un giorno, e in parte sta già accadendo, il mondo si interrogherà sulla parola paura, che di solito la sinistra usa con cautela. Sulla paura si giudicherà il futuro delle nostre democrazie. Di fronte a chi ha paura, che è una delle cose più delicate e complesse che esistano, - la sinistra non deve biasimarlo. L'approccio della sinistra riformista deve essere quello di ascoltare chi ha paura: noi stiamo accanto a chi ha paura, che li ascolta per liberarli dai loro timori. I populisti, invece, fanno finta di ascoltarli e di liberarli dalle loro paure. E' questa la sfida vera su cui si gioca la qualità e il futuro di una democrazia. Ed è qui che sta la vera differenza tra la sinistra riformista e i populisti".