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La partita di Gentiloni

David Allegranti

Ricostruire la storia delle mozioni su Visco ci aiuta a capire dove sono le vere divisioni del Pd

Roma. Lo ius soli da approvare subito e non nella prossima legislatura; la commissione banche da non far partire per evitare strumentalizzazioni in vista delle elezioni politiche; la battaglia sul vitalizio da evitare per non rincorrere i Cinque stelle. Adesso la mozione su Bankitalia. I “due binari del Pd”, come il Foglio li aveva chiamati a fine settembre, stanno diventando molto impervi per i vagoni renziani. Il non detto fra il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e il presidente del consiglio ombra, Matteo Renzi, alla fine s’è palesato pubblicamente sotto forma di stigma nei confronti di Ignazio Visto, capo della Banca d’Italia.

 

Un attacco preciso sotto forma di una mozione votata alla Camera dal Pd e che inizialmente era stata tenuta nascosta al governo. L’esecutivo ne è venuto a conoscenza martedì 17 ottobre, mezz’ora prima dell’arrivo in aula, intorno all’ora di pranzo. A quel punto Palazzo Chigi si è attivato, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro dopo un colloquio con la sottosegretaria Maria Elena Boschi, che invece era a conoscenza della mozione, si è riunito a Montecitorio con il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta e il capogruppo del Pd Ettore Rosato. Ne è venuta fuori una mediazione: la ministra Finocchiaro, fra le altre cose, ha chiesto di togliere la “prospettiva di discontinuità” dal testo finale (di fatto un licenzialmento per Visco). Per questo Renzi ieri ha detto in un’intervista a Qn che “il governo non era semplicemente informato: era d’accordo. La mozione parlamentare non solo era nota al governo, ma come sa chi conosce il diritto parlamentare questa mozione prevedeva che il governo desse un parere. C’è che c’è stato”. Era d’accordo, sì, ma il parere è stato dato dopo le modifiche alla mozione.

 

C’è dunque un problema politico nel governo, e Gentiloni lo sa, anche se ieri da Palazzo Chigi ci hanno tenuto a sottolineare che la sottosegretaria Boschi gode della “piena fiducia” del presidente del Consiglio. Non può renderlo pubblico né esternare il suo dissenso, per questo il suo silenzio va interpretato per quello che è: irritazione. Irritazione perché la doppia linea del Pd può adesso essere scivolosa. Prima di questa mozione, il governo non intendeva dare per scontata la conferma di Visto, anzi, si sarebbe potuto anche cambiare. Ora però diventa tutto più complicato. Cedere adesso significherebbe accettare l’ingerenza di un partito nella scelta del capo della Banca d’Italia, e invece Palazzo Chigi ribadisce di voler tutelare l’autonomia dell’istituto. Resistere (o resistere troppo) significherebbe invece sancire la distanza fra le due linee del Pd, che si stanno tuttavia già radicalizzando. A fortificare la linea Gentiloni non c’è più soltanto Luigi Zanda, presidente dei senatori del Pd, che più volte è intervenuto in questi mesi per manifestare il suo dissenso su alcune questioni delicate, dai vitalizi all’istituzione della commissione sulle banche. In diversi hanno criticato il Pd sulla mozione di Bankitalia. Da Giorgio Napolitano a Romano Prodi, per non parlare di Walter Veltroni, che giusto sabato veniva portato in trionfo dai renziani per il suo intervento all’Eliseo a 10 anni dalla nascita del Pd. Puntellare la linea Gentiloni usando la mozione su Bankitalia potrebbe tornare utile fra pochi mesi, quando ci saranno le elezioni politiche. C’è infatti un Partito di Gentiloni che vorrebbe confermare l’attuale presidente del consiglio dopo il voto del 2018. Anche perché non è detto che Renzi sia in grado di tornare a Palazzo Chigi. E’ troppo “divisivo”, dice Giuliano Pisapia, che vorrebbe una coalizione di centrosinistra, di governo e non di lotta, guidata da un altro leader. Prodi, figurarsi, non è neanche andato alla festa dei dieci anni del Pd. Significative da questo punto di vista sono le parole consegnate da Zanda ad alcuni colleghi senatori ieri mattina: la mozione è una cosa “fatta più contro Gentiloni” che contro Visco. E per conoscere il pensiero di Enrico Letta (non imprevedibile, diciamo) basta leggere la risposta del deputato del Pd Marco Meloni, che è anche direttore della Scuola di Politiche, a Matteo Orfini. “Comunque cari compagni, o fate la sinistra o fate i portavoce a prescindere del salotto buono. Che le due cose insieme funzionano poco”, ha detto il presidente del Pd.

 

Caro Matteo Orfini – ha replicato Meloni – la migliore sinistra riformista (Spaventa, Ciampi, Andreatta, Guido Rossi) si sarebbe vergognata dell’atto di teppismo parlamentare dei vertici del Partito Democratico, sul quale mi pare abbiano espresso parole inequivocabili alcuni noti esponenti del salotto buono come Giorgio Napolitano e Walter Veltroni”. Il ritornello dei “salotti buoni” è andato avanti per tutto il giorno, ieri, tant’è che anche Renzi, intervenendo a Otto e Mezzo ha detto che l’eventuale riconferma di Visco “non sarà una mia sconfitta. Io non ho posto una questione di nomi. Abbiamo detto che la Vigilanza non ha fatto granché, Quirinale e governo avranno sempre il rispetto del Pd. Il principio che ‘chi ha sbagliato paghi’ sulle banche non può dividere il Pd. Noi siamo un partito di sinistra che sta con i risparmiatori, non con i salotti buoni”. A questo punto però la polarizzazione dello scontro diventa particolarmente interessante, perché chiunque nel Pd sia critico nei confronti della mozione su Bankitalia diventa automaticamente un iscritto al partito dei salotti buoni. Dunque anche i membri citati poc’anzi del Partito di Gentiloni ne farebbero parte. Domanda: anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, perplesso per la piega che hanno preso gli eventi, rientra nei salotti contro cui il Pd si scaglia? Ah, saperlo.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.