Matteo Renzi con Paolo Gentiloni (foto LaPresse)

L'ultimo referendum sulla rottamazione

Claudio Cerasa

La scazzottata su Bankitalia può trasformarsi in un problema politico per Renzi a meno che non accada quello che oggi non è più impossibile: il passo indietro di Visco. Dove porta lo spericolato gioco di equilibri tra Renzi, Gentiloni e Mattarella

La vivace scazzottata sul rinnovo di Bankitalia andata in onda negli ultimi giorni tra il segretario del Partito democratico e il presidente del Consiglio (e il presidente della Repubblica) ha avuto una serie di effetti politici che vale la pena mettere insieme – prima di capire qual è l’unica strada che può trasformare una mossa azzardata, al limite dell’autolesionismo, in una mossa vincente. La sveglia rifilata dal Pd al governatore di Bankitalia non ha permesso solo di trasformare un referendum su Visco in un referendum su Renzi ma ha avuto l’effetto di rendere esplicita una strategia (spericolata) che il segretario del Pd potrebbe imboccare da qui ai prossimi mesi per tentare di recuperare lo spirito originario della rottamazione ed essere nuovamente percepito dagli elettori come un volto capace di alternare in modo disinvolto sia il profilo di governo sia il profilo di lotta. La strategia che vale la pena studiare è quella che potrebbe portare Renzi a mettere il suo treno (di lotta) su un binario alternativo a quello (di governo) di Paolo Gentiloni. E la forzatura voluta su Bankitalia rientra nella stessa logica che in qualche modo ha guidato il processo che ha condotto all’approvazione (alla Camera) della legge elettorale: i risultati in politica si ottengono solo se si rompono gli schemi e se si forza la mano. Rispetto a questa traiettoria (che permette al Pd di occupare uno spazio che altrimenti Grillo avrebbe presidiato da solo, ma a quali costi?) è giusto chiedersi se in natura esistano elettori grillini che vedendo Renzi in assetto antisistema possano decidere di votare Renzi al posto di Grillo. Probabilmente ha ragione chi vede come una contraddizione grave il fatto che il segretario di un partito possa mettersi all’opposizione di un governo di cui il suo partito è il principale azionista, giocando così una partita diversa rispetto a quella più naturale della leadership più di governo che di lotta. E probabilmente ha anche ragione chi segnala che la mossa avventurosa (non solo del Pd) sulla mozione di Bankitalia ha creato un precedente pericoloso perché ha introdotto un’opzione che potrebbe diventare prassi, ovverosia la possibilità che un governatore (non eletto dal Parlamento) possa essere sfiduciato dal Parlamento. Alla luce di tutte queste considerazioni, però, non si può non tenere conto di un fatto importante, che potrebbe permettere a Renzi di passare rapidamente dalla posizione di politico indebolito a quella di politico rafforzato: la possibilità cioè che il segretario del Pd vinca la sua battaglia su Bankitalia e che riesca a ottenere con l’hard power quello che non gli era evidentemente riuscito con gli strumenti del soft power. La novità delle ultime ore è che una vittoria di Renzi resta sì poco probabile, ma ora dopo ora da impossibile sta diventando possibile. Al di là delle considerazioni che ciascuno di noi può fare sul bilancio dei sei anni di Visco da governatore, la mozione con cui il Pd ha chiesto “una figura più idonea a garantire nuova fiducia nell’istituto” si è inserita in un contesto parlamentare all’interno del quale è emerso in modo plastico un dato politico che nei prossimi giorni sarà difficile ignorare. Ovverosia, il fatto che tre quarti delle forze politiche italiane considerino necessaria una forma di discontinuità in Bankitalia. In Parlamento, prima della mozione del Pd, posizioni ancora più dure contro Ignazio Visco sono state messe in campo da Movimento 5 stelle, Lega nord, Fratelli d’Italia e Sinistra italiana e anche Silvio Berlusconi ieri si è iscritto al partito della discontinuità (“in questi anni Bankitalia non ha svolto il controllo che ci si aspettava”).

Il punto politico dunque oggi è evidente: al di là della valutazione che Mattarella o Gentiloni possano fare su Visco, è possibile far finta che la stragrande maggioranza delle forze politiche italiane non sostenga il rinnovo del governatore di Bankitalia? Detta in modo più netto: come può non cambiare nulla nella scelta del successore di Visco – ovvero sia nella scelta di un governatore che andrà a guidare una Bankitalia che presto non potrà più contare sulla triangolazione con Mario Draghi, il cui mandato in Bce scade nel 2019 – se qualcosa nel frattempo è oggettivamente cambiato? Il procedimento previsto dalle norme che regolano la scelta del governatore prevede che la nomina del numero uno di Bankitalia sia disposta con decreto del presidente della Repubblica ma su “proposta” del presidente del Consiglio dei ministri. Il che significa che colui che entro il 31 ottobre (data di scadenza del mandato di Visco) deve maturare una proposta non si trova al Quirinale ma si trova a Palazzo Chigi.

Effetto destabilizzante

Paolo Gentiloni (che ieri ha smentito ogni divergenza con Renzi e ha rinnovato la fiducia al sottosegretario Boschi) ovviamente non si trova in una posizione semplice. Non deve soltanto scegliere se confermare o no Ignazio Visco ma deve scegliere più precisamente quale delle due strade imboccare. Da un lato c’è la possibile sberla al segretario del suo partito, che garantirebbe sì la continuità in Bankitalia ma che potrebbe rafforzare, non solo nel Pd, il partito della discontinuità con Renzi. Dall’altro lato c’è invece la possibile legittimazione di una forzatura contro Bankitalia, che avrebbe sì l’effetto di destabilizzare un sistema che forse meritava di non essere destabilizzato ma che potrebbe permettere di non creare una frattura ulteriore tra la presidenza del Consiglio e il suo principale azionista. L’abc della politica prevede che, quando si parla di nomine, se vuoi ottenere un risultato l’ultima cosa che devi fare è accendere i riflettori. La regola vale sempre, tranne in un caso: quando l’unico modo per ottenere un risultato è accendere i riflettori. La luce su Visco è stata accesa, ed è possibile che a questo punto sia lo stesso Visco a premere l’interruttore e a favorire, dall’interno, un ricambio in Bankitalia. Non è la partita della vita, ma se la scazzottata dovesse portare a un risultato che sarebbe stato inimmaginabile senza una scazzottata quello che per Renzi oggi sembra un piccolo cappotto (e un bel pasticcio) potrebbe trasformarsi in qualcosa di diverso: in un improvviso e inaspettato ritorno di fiamma della rottamazione. Il Renzi leader di opinione che punta a conquistare voti con battaglie anti establishment disordinate ha un orizzonte limitato. Il Renzi che forza la mano, esce dagli schemi e ottiene un ricambio concreto nel punto di intersezione dell’establishment italiano, avrebbe un effetto diverso e aprirebbe un capitolo nuovo sulla forza della rottamazione. La partita è ancora aperta. Chissà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.