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L'abitudine fa scandalo in Banca d'Italia

Redazione

Perché non stupisce che la politica si sovrapponga alla vita bancaria

La politica deve stare fuori dalle vicende della Banca d’Italia? Lo chiedono 46 economisti in un appello sul Sole 24 Ore. Con più buon senso Francesco Giavazzi, docente di Politica economica alla Bocconi, ricorda i guasti dei partiti nel gestire banche come Mps (il Pci-Pds) e Banco di Santo Spirito (la Dc). Ma, per quanto criticabile sia stata la mozione del Pd alla vigilia della conferma o meno di Ignazio Visco, ancora più surreali sono le richieste “senza se e senza ma” di non sfiorare la famosa sacralità di Via Nazionale. Sacralità che (lo ricorda Giulio Tremonti) ha dismesso la ragion d’essere da quando la funzione di stampare moneta è passata alla Banca centrale europea e la carica di governatore non è più a vita. Peraltro quando lo era ci sono stati governatori buoni e meno buoni.

 

La politica nel senso della democrazia parlamentare rappresentativa – che dà la fiducia al governo ed elegge il capo dello stato – c’entra, eccome. Non è la sua assenza a garantire l’autonomia e l’autorevolezza dell’Istituto; tanto meno con l’avvento del bail-in, e con la Costituzione che tutela il risparmio.

 

Evocare macerie istituzionali e credibilità europea azzerata è la solita esagerazione mediatica: la questione può essere ricondotta alla ragionevolezza se si capisce che un conto sono gli appetiti dei partiti sulle banche, altra cosa la pretesa di una muraglia tra Parlamento, governo e Via Nazionale.

 

Neppure la Banca centrale che è il benchmark europeo sul quale è stata modellata la Bce, cioè la Bundesbank tedesca, la prevede. Il suo presidente Jens Weidmann era fino al 2011 sherpa di Angela Merkel. Il predecessore Axel Weber si dimise quando Merkel accettò la nomina di Draghi all’Eurotower, accusandola del venir meno della fiducia reciproca. E oggi la cancelliera sta trattando la promozione di Weidmann nel 2019 alla Bce in cambio della nomina del ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire alla presidenza dell’Eurogruppo. Altre Banche centrali – dalla Federal Reserve alla Bank of Japan, entrambe sotto rinnovo in questi mesi – non solo sono di nomina presidenziale o governativa, ma sintonizzano con gli esecutivi la politica monetaria.

 

E lo stesso Draghi, pur nel tenersi a distanza dalle diatribe interne dei paesi euro, non ha lesinato indicazioni a governi e parlamenti, a cominciare dalla famosa lettera all’Italia del 2011 cofirmata con il predecessore Jean-Claude Trichet.

 

Casomai dovrebbero essere le banche a non interferire sulle vicende di Via Nazionale, che è la loro Autorità di vigilanza: eppure mentre l’Associazione bancaria italiana taceva e Visco era considerato saldo, giovedì Carlo Messina, ad di Intesa Sanpaolo, primo istituto italiano, ha parlato liberamente elogiando il vicedirettore generale Fabio Panetta, un potenziale successore. Un’infrazione da cartellino rosso che non ha scosso i media. Mentre se lo fa il Parlamento si evoca lo scandalo nazionale.

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