Sabino Cassese e Raffaele Cantone (foto LaPresse)

L'esondazione dell'Anac e quella politica in fuga dalle responsabilità

Renzo Rosati

Le osservazioni di Cassese su Cantone aiutano a capire le meccaniche di una classe dirigente alla ricerca di supplenza

Dal sito istituzionale dell’Anac, home page, voce “Ambiti di cui l’autorità anticorruzione non si occupa”. Punto tre: “Procedure selettive e concorsi (la competenza è della giustizia amministrativa)”. Proprio la materia che ha provocato un puntuto dissenso sulle pagine del Foglio tra Sabino Cassese, tra i maggiori giuristi italiani e giudice emerito della Corte costituzionale, e dall’altra parte Raffaele Cantone, che dell’Anac –l’Autorità nazionale anticorruzione istituita nel giugno 2014 con uno dei primi atti del governo di Matteo Renzi – è il popolare e attivo presidente. Il dissenso, con una prima risposta del direttore del Foglio ad una lettera di Cantone sul numero di mercoledì, nasce dalle critiche mosse da Cassese all’Anac a proposito del suo interventismo annunciato anche in materia di insegnamento, concorsi e ricerca.

  

 

L’antefatto è nello scandalo, l’inchiesta giudiziaria è in corso, che coinvolge 67 docenti, principalmente di diritto tributario e dell’Università di Firenze, per concorsi aggiustati o truccati. Un reiterato malcostume nazionale, non c’è dubbio; ma a detta di Cassese il rimedio che si profila è assai peggiore del male. Il 26 settembre, infatti, Valeria Fedeli, ministra dell’Istruzione, università e ricerca, ha annunciato in una sfilza di interviste e comunicati pubblici: “Da sei mesi stiamo lavorando con l'Anac per inserire l’università in uno specifico focus del piano anticorruzione. Entro ottobre avremo una normativa per rendere più trasparenti i concorsi universitari, verificare e togliere opacità e zone d ombra ed affrontare in modo molto serio e rigoroso ogni parte del funzionamento dell’università. E’ la prima volta che accade”. Cassese vi scorge un “palese sconfinamente dell’Anac, un eccesso di potere, anche per la debolezza del ministero dell’Istruzione”. E sintetizza: “ ‘Big brother is watching you’, come nel famoso romanzo orwelliano ‘1984’”. Cantone, nella risposta al Foglio, non smentisce il progetto congiunto tra Miur e Anac, nega invece che il tutto sia una sorta di pronto intervento per l’indagine sui concorsi accomodati: “Ci vogliono mesi per un lavoro simile, tant’è vero che la prima riunione si è tenuta a febbraio. Le linee guida non le ha scritte in solitaria l’Anac ma sono il frutto di un tavolo di confronto cui ha partecipato il mondo universitario a tutti i livelli”. E riassume: “L’obiettivo è l’opposto rispetto a quello paventato: evitare la dispersione delle risorse in un momento in cui scarseggiano, privilegiando le università più meritevoli. Insomma l’Anac non ha alcuna ambizione moralizzatrice né intende mettere in discussione la libertà e l’autonomia degli atenei ma solo, in ossequio a quanto previsto dalla legge, cercare di assicurare la buona amministrazione della cosa pubblica tramite la flessibilità della soft law”.

 

 

Già. Ma come conciliare tutto questo con quel punto tre degli “Ambiti di cui l’Anac non si occupa”, e cioè le procedure selettive e i concorsi? Su questo ruota anche la risposta del direttore del Foglio quando chiede a sua volta: “Perché l’Autorità si interessa di problemi che sono fuori dalle sue competenze definite per legge?”. Quando poi Cantone parla di “assicurare la buona amministrazione della cosa pubblica tramite la flessibilità della soft law” evoca un concetto, la flessibilità, che è, come dire, a sua volta molto flessibile (specie in Italia), mentre la soft law – senza pretese di sconfinare nel territorio dei giuristi – sembra non andare troppo d’accordo con il diritto italiano, che non è di common law come quello anglosassone, ma fissato dai codici. Su questi punti è evidente che il giurista Cassese (esponente di coloro che fanno e interpretano le leggi) e il magistrato Cantone (colui che le leggi le applica), non riusciranno a mettersi d’accordo. Più di tutto però colpisce, e incuriosisce, il richiamo alla buona amministrazione. Siamo sicuri che la via sia questa? C’è e aumenta un continuo strattonamento dell’Anac: da parte di ministri vagamente in difficoltà – tra imbarcate di precari e cattedre egualmente vuote, concorsi tenuti in extremis o rinviati per impraticabilità (non parliamo del caso Firenze), il Miur a gestione Fedeli non appare il massimo della vita; da sindaci egualmente in cerca di coperture esterne, causa evidente incapacità ad amministrare (Virginia Raggi e non solo); da amministratori pavidi a tutti i livelli (il blocco decisionale nella ricostruzione post terremoto è noto, e la causa è nello scaricabarile burocratico locale e nazionale in attesa del magico bollino blu dell’Anac).

 

In che modo, è lecito chiedere, tutto ciò può portare a una migliore, se non proprio buona, amministrazione? Raffaele Cantone è una persona di buon senso e buona fede, oltre che un magistrato esente dal giustizialismo di molti suoi colleghi. Lo ha testimoniato spesso, anche in occasione di dibattiti pubblici del Foglio; e da ultimo con la sua contrarietà, non ascoltata, alle aberrazioni del nuovo codice antimafia by Rosy Bindi. Forse però consente che l’Anac venga usata a sproposito. E magari strumentalizzata per fini politici personali. Sergio Pirozzi, il televisivo sindaco di Amatrice che ora pare abbia intenzione di candidarsi per Fratelli d’Italia alla presidenza regionale del Lazio, ha abbondantemente additato l’Anac (oltre al governo) quale responsabile ultimo dei ritardi nella ricostruzione, suscitando la giusta reazione dello stesso Cantone. La giunta del Campidoglio non ne parliamo: il via vai nella vidimazione di nomine e stipendi da parte dell’Anac è diventato strumento di guerra tra la Raggi e i suoi assessori, e tra Campidoglio e capataz grillini. Ora la Fedeli prende a bordo l’Autorità, cercando dunque un rilancio al rialzo, il che è più comodo dell’entrare faticosamente nel merito dei problemi, e magari rimuovere qualche funzionario magari non corrotto, ma inefficiente e abituato a dormire sulle pratiche. Se tutto è riconducibile ad un’ipotetica questione di controllo sulla corruzione, cioè al piano superiore, si rischia di glissare sulle pessime abitudini di dirigenti, sindaci, amministratori, ministri. Più che buona amministrazione, fuga dalle responsabilità.

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