Gennaro Migliore (foto LaPresse)

Un regalo al Pd

David Allegranti

Migliore: “Sì alle stelle europee nel simbolo Pd, ma togliamo anche il ramoscello dell’Ulivo”

Roma. “Sono molto colpito dalle notizie che arrivano dalla Catalogna. Si riapre il tema di come si possono esercitare i diritti e di come si può applicare la legalità”, dice il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore al Foglio. Proprio per questo il deputato aderisce all’appello fogliante per inserire le stelle dell’Unione Europea nel simbolo del Pd e spiega perché: “E’ il momento in cui è necessario avere responsabilità politica rispetto alle funzioni pubbliche che si svolgono. Il richiamo che viene fatto all’Unione Europea è alquanto necessario. L’Ue è diventata un terreno di contesa, non è semplicemente uno spazio pubblico, e il silenzio che l’Ue ha mantenuto fino a oggi nei confronti della vicenda catalana va a sommarsi a due errori fatti in Spagna: aver promulgato un referendum incostituzionale e aver represso con la violenza persone riunite pacificamente. Il Foglio quindi fa bene a proporre di mettere le stelle dell’Unione nel simbolo del Pd. Non è retorica, ma difesa di un principio di identità fondamentale”.

   

Oggi, spiega Migliore, “questo principio identitario, rivolto al futuro, è più forte di quello che guarda al passato. Lo dico da iscritto. A dieci anni dalla sua fondazione, trovo un po’ superato il richiamo all’Ulivo presente nel simbolo del Pd. Anche perché c’è chi il ramoscello lo evoca come se fosse una bacchetta magica e chi invece lo usa come uno scudiscio, dicendo che chi non si allinea a quell’impostazione politica non risponde alle ragioni per cui è nato il Pd. Le radici del Pd sono importanti, quella storia ha avuto un grande valore per chi l’ha fondato, ma la presenza del ramoscello d’Ulivo nel simbolo per me – che sono più laico forse perché arrivato recentemente in questo partito – mi sembra più retorica che di sostanza”. C’è chi oggi l’Ulivo vorrebbe addirittura rifondarlo, Migliore. “E’ un po’ come quando si dice che era tutto più bello quando eravamo giovani. Io le stagioni dell’Ulivo le ho attraversate, prima da attivista politico poi in prima linea nella fase decadente dell’Unione. C’erano partiti molto frammentati, alcuni nati a margine delle elezioni, come la lista Dini o l’Udeur, e altri di cui non si ha più notizia. La litigiosità prevaleva sul progetto e il Pd, la cui vocazione maggioritaria non è legata alla legge elettorale, si candida a governare il paese, non a essere solo il mero azionista di un esecutivo”. Il salto di qualità, aggiunge il sottosegretario alla Giustizia, “si è compiutamente realizzato con la leadership di Matteo Renzi, che ha realizzato politiche di sinistra, più di sinistra dei suoi predecessori. Penso al jobs act, alla riduzione del tasso di disoccupazione, alla messa in discussione della rigidità dei vincoli di bilancio europei”.

 

E oggi che cosa resta del Pd, a dieci anni dalla sua nascita? “Il Pd è un bambino, è in fase di maturazione, alla quale corrisponde un upgrade, un passo in avanti. Le ragioni di questa maturazione non vanno individuate nel proprio passato. Lo dico con rispetto per coloro che hanno avuto una intuizione realizzando il Pd. Di solito il problema nelle formazioni della sinistra è come si declina il futuro. Io penso che il futuro sia un imprevisto che va affrontato con le innovazioni necessarie. C’è invece chi pensa solo al futuro anteriore e si mette in sintonia solo con quello che ha già conosciuto. Penso che questo non sia il modo di rispondere ai grandi sconvolgimenti sociali e politici. Il Pd di dieci anni fa precorreva la frammentazione del sistema politico e la nascita del M5s, si era posto il tema di come costruire un popolo, non un’unione di tradizioni. Quelle tradizioni, che vanno rispettate, sono consegnate alla storia. Io però non mi riconosco in quella ripartizione e non penso che chi sia uscito dal Pd abbia una qualche titolarità su che cos’è di sinistra e su che cosa non lo è. Peraltro noi stiamo facendo più cose di sinistra rispetto a quando c’erano loro”. I fuoriusciti vantano una primogenitura su tutto ciò che è di sinistra, ma “è un’idea totalmente sbagliata. Si devono giudicare i fatti non utilizzare delle griglie falsamente ideologiche. Qualcuno, da quelle parti, vorrà forse proporre l’abolizione degli 80 euro al mese ai dieci milioni di persone che li hanno presi? Sarà interessante vedere la reazione che susciterà questa proposta”. 

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.