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Berlusconi, il rottamatore

Marianna Rizzini

Il Cav. è sopravvissuto politicamente a una pletora di nemici, da Fini a Di Pietro, da D’Alema a Bersani

La profezia non si è verificata: lo davano per uscito di scena sei anni fa, Silvio Berlusconi, dopo gli anni dei post-it gialli, delle dieci domande, del tormentone “cene eleganti”, dei processi, dei servizi-sociali, delle piazze NoB. Lo descrivevano come plasticamente piegato dagli eventi, l’allora premier uscente, nella sera del novembre 2011 in cui i siti titolavano “per Silvio è finita” e la folla fischiava, lanciando monetine davanti al Quirinale, in stile “Hotel Raphael 1993”, mentre Mario Monti avanzava sulla via del governo con l’estate dell’allarme spread alle spalle e la Seconda Repubblica al tramonto. Lo davano per politicamente e mediaticamente spacciato, Berlusconi, uscito per sempre dal cono di luce, in quei primi attimi di governo tecnico in cui Pier Luigi Bersani, allora segretario del Pd, diceva alla Camera che “tutto si era compiuto in dieci giorni”, e che “dopo soli dieci giorni” ci si trovava “in un altro universo”. Sei anni dopo, ci si ritrova in un altro universo, sì, ma non nel senso inteso da Bersani. C’è infatti Silvio Berlusconi alla guida di un redivivo centrodestra, quasi incredibilmente ben messo nei sondaggi, dopo anni di sopravvivenza sottomarina. Un Berlusconi in attesa di eventuale riabilitazione dalla Corte di Strasburgo, ma comunque intenzionato a sedersi sulla poltroncina del regista: possibilmente in campo in prima persona, altrimenti kingmaker di un candidato a lui gradito. E, a vederlo baldanzoso sul palco della convention organizzata da Antonio Tajani a Fiuggi, con l’aria soddisfatta di colui a cui è stato raccontato che Angela Merkel lo guarda ora con stima e simpatia, il Cav. un tempo detronizzato appare non soltanto come un Cav. rimesso in sella, ma anche come un rottamatore (di fatto) di ex nemici e avversari che – vuoi per proprio errore vuoi per sorte avversa vuoi per capriccio della nemesi – si trovano ora nell’ombra, nella polvere, ai giardinetti, lontani dalla politica, nella famosa “Africa” di Walter Veltroni.

  

Segue piccolo, arbitrario atlante.

Berlusconi sul palco di Fiuggi, mentre il silenzio circonda ex avversari urlanti come l'ex pm di  Mani pulite e Sabina Guzzanti

Gianfranco Fini. Ex presidente della Camera, ex protagonista della svolta post missina di Fiuggi con fondazione di Alleanza Nazionale, ex promessa del centrodestra e della destra-destra in cerca di rilancio moderato, ex coprotagonista del cosiddetto “scandalo del cognato” con sfondo di casa a Montecarlo, ex ministro degli Esteri ed ex vicepresidente del Consiglio, ma soprattutto ex pupillo del Cav. poi rivoltatosi contro il Cav. (momento cardine della contesa il “che fai, mi cacci?” pronunciato da Fini all’indirizzo dell’allora premier Silvio Berlusconi nella primavera del 2010, a una direzione nazionale del Pdl). Solo che poi non era andata come si pensava andasse quando Fini pareva destinato al passaggio da “eterno secondo” a “primus inter pares”. Non riuscì infatti la sua spallata al Cav. né ebbe seguito la leggenda metropolitana che voleva Fini “tentazione della sinistra moderata” in quanto “personaggio politico stimato da Barack Obama”. Né si verificò l’uscita di scena di Mario Monti – che anzi decise di scendere in campo, cosa che sottrasse voti, alle politiche del 2013, alla già pericolante Futuro e Libertà, ultima creatura finiana. E insomma la sconfitta nelle urne, con uno zero virgola anticamera dell’oblìo, costò a Fini la discesa nel limbo di un esilio dorato, negli uffici dedicati agli ex presidenti della Camera, con contorno di nottate insonni sul terrazzo di casa e lunghe mattinate a leggere giornali. Beffa delle beffe oggi: ecco Berlusconi che si ri-incorona capo del centrodestra in quel di Fiuggi, luogo della suddetta svolta che lanciò Fini alla ribalta nel lontano ’93.

 

Pier Ferdinando Casini. Dopo anni di “odi et amo” con Berlusconi, l’ex leader dell’Udc e prima del Ccd, un tempo considerato “riserva dei moderati”, ora “centrista per l’Europa”, era giunto, sulla soglia delle elezioni politiche 2013, ad affidare a twitter le sue preoccupazioni per un eventuale successo del Cav. Dopo aver appoggiato il governo Monti, però, Casini era tornato in orbita berlusconiana, per poi distaccarsene parzialmente e assestarsi su una posizione che potrebbe essere descritta, in sintesi, con un “né del tutto lontano ma mai troppo vicino”. Eppure del Cav. si sente ancora parlare, di Casini così così.

 

Antonio Di Pietro. Ex pm e simbolo di Mani pulite, ex leader di Idv, ex ministro nei governi Prodi I e II, ex nemico pubblico numero uno del Cav. sconfitto pesantemente nelle urne nel 2013, ex animatore di piazze grandguignolesche NoB., ex icona manettara ora tentata da nuove avventure in area Bersani, e pentita rispetto agli eccessi giustizialisti. A “L’aria che tira estate”, su La7, qualche settimana fa, Di Pietro se n’è infatti uscito con la frase “se si cerca il consenso con la paura, lo si può ottenere a tre giorni, a un’elezione, ma poi si va a casa. Io ne sono testimone, ché ho fatto politica sulla paura e ne ho pagate le conseguenze… La paura delle manette, la paura del, diciamo così, ‘sono tutti criminali’, la paura che chi non la pensa come me è un delinquente e quant’altro. Poi alla fine, oggi come oggi, avviandomi verso la terza età, mi rendo conto che bisogna rispettare anche le idee degli altri”. E il mea culpa si è esteso all’inchiesta per sempre legata al suo nome: “Io porto con me una conseguenza. Ho fatto l’inchiesta Mani pulite, con cui si è distrutta l’intera Prima Repubblica: il male, e ce n’era tanto con la corruzione, ma anche le idee. Ed è così che sono nati i cosiddetti partiti personali: Di Pietro, Bossi, Berlusconi e quant’altro. Ovvero partiti che hanno al massimo il tempo della persona”. Tanto che lui, Di Pietro, dopo aver combattuto corpo a corpo, per anni, contro il nemico Cav., oggi quando sente nominare il Cav. ci scherza sopra (“ha avuto più auguri del compleanno di me!”, ha detto un giorno). Rispolverata la vecchia foto con il trattore, Di Pietro di sé dice di essere “tornato a fare il contadino, come alle origini”. Fatto sta che l’essere ferocemente anti Cav. non ha portato bene al Di Pietro poi surclassato dall’anti-tutti Beppe Grillo, e non premiato dall’intesa cordiale con Pierluigi Bersani e Nichi Vendola (foto di Vasto del settembre 2012). Fuori dal Parlamento, con le inchieste di Milena Gabanelli alle calcagna e gli ex seguaci in fuga verso altri lidi, Di Pietro si era inizialmente rifugiato, speranzoso, nei mulini a vento delle elezioni locali e poi nelle affinità elettive con Leoluca Orlando, nonostante il contrappasso della Rete, che, dopo la mannaia di “Report”, gli imputava colpe da casta di cui di Pietro aveva a suo tempo accusato altri (per non dire il Cav.). E dunque del Nemico pubblico numero uno è rimasta ora soltanto la simpatica sagoma. E c’è chi ancora ricorda il Di Pietro fresco di sconfitta del 2013, incredulo di fronte a chi voleva mettere “l’epitaffio” sulla sua avventura politica, come diceva a “Otto e mezzo”. “Voglio continuare a sbagliare”, ripeteva nel bel mezzo del cammino amaro di risalita dal quasi-nulla elettorale, ma in memoria dei fasti passati, quando l’Idv anti Berlusconi aveva l’8 per cento. 

 

Il colpo indiretto a Enrico Letta sulla soglia del patto del Nazareno, e il nemico naturale Bersani che gli riconosce simile umanità

Sabina Guzzanti. Altra arcinemica di Berlusconi, prima imitato nella carriera di comica, poi attaccato (collaboratori compresi) su ogni palco e in ogni piazza. Volto del “No Cav. day” del 2008, paladina delle campagne contro la riforma della giustizia targate centrodestra, autrice di post e film di denuncia sulla ricostruzione a L’Aquila, Guzzanti a un certo punto si è buttata sul filone “trattativa stato mafia”, e però la sorte non ha riservato successo travolgente al film da lei scritto e diretto sul tema. Caso ha voluto, però, che la fissazione antiB. di Sabina Guzzanti sia andata di pari passo con l’affievolimento – se non autospegnimento – della vis comica della Guzzanti medesima (che nel 2014 ha detto, a “Servizio pubblico”, di aver sviluppato “una vera e propria avversione per la comicità”). Pur essendosela presa a un certo punto anche con l’ex procuratore Giancarlo Caselli, definito, nel film “La trattativa”, “vanesio” troppo dipendente dall’opinione e dall’azione dei Ros, Guzzanti conserva tracce nostalgiche di antiberlusconismo nel nuovo monologo antiliberista “Come ne venimmo fuori”, portato d’estate in giro per l’Italia. Anche se lui, il Nemico, è uscito dalla porta nel 2011 per tornare dalla finestra nel 2017.

 

Il caso particolare, Michele Santoro. Orchestratore storico di trasmissioni “NoB.”, protagonista storico della lotta interna nella Rai berlusconiana, Santoro non è stato rottamato dal Cav. Semplicemente, da tempo parla d’altro e si occupa d’altro. E quando gli ricordano che forse è stato anche nel suo studio, in una sera del 2013, presenti Marco Travaglio e Silvio Berlusconi, che si è decisa la rimonta elettorale del Cav., e che il Cav., in una sola sera, ha guadagnato un milione di voti in più, Santoro risponde, come a Salvatore Merlo su questo giornale: “Mi sono portato dietro quel trionfo assoluto in termini di ascolti come se fosse stato un disastro. Bersani disse che aveva perso, o meglio ‘non vinto’, per colpa di Santoro. E’ ridicolo”.

 

La strana nemesi che colpisce D'Alema. Il pentimento degli ex manettari, la seconda vita al cinema di Veltroni

Pier Luigi Bersani. Ex segretario pd, ex cercatore di grillini volenterosi (sua l’azione di cosiddetto “scouting”), attuale demiurgo di Mdp, Bersani con Berlusconi ha avuto spesso atteggiamento da nemico naturale ma riluttante. Contro di lui, sì, come quando, nel 2010, alla Camera, pronunciava j’accuse all’indirizzo del premier del “ghe pensi mi” , delle promesse “non mantenute” e della preoccupazione per l’Italia “che non cresce”. Ma anche paradossalmente con lui: “Berlusconi? Siamo diversi, ma forse non del tutto diversi. Non lo so, ci vedo dentro, grattando, grattando, da avversario naturalmente, un tratto di umanità che mi sento in qualche misura di condividere”, ha detto Bersani a “Mix24” (Radio24), aggiungendo anche una considerazione cosmico esistenziale: “Siamo tutti su una palla che gira per lo spazio… non bisogna mai arrivare all’odio, all’aggressività”. E, ancora prima di essere rottamato come segretario da Matteo Renzi, Bersani si è sentito rottamato per mancato accordo con Berlusconi. “Ci sono cose che i dirigenti del Pd non possono dire. Lo sanno anche i bambini che, se avessi fatto l’accordo con Berlusconi, io avrei fatto il premier”, ha detto un giorno a “In onda”, su La7. L’incarico lo ottenne Enrico Letta, eppure anche lui potrebbe dirsi indirettamente rottamato dal Cav. (vedi voce successiva).

 

Enrico Letta. Il Cav., in un giorno di novembre del 2013, ha portato Forza Italia all’opposizione del governo di larghe intese presieduto da Enrico Letta. E però poi ha dato per così dire fiducia al patto del Nazareno, simbolo della rottamazione dello stesso Letta (cui toccò in sorte, nel 2014, il passaggio della campanella governativa a Matteo Renzi).

 

Massimo D’Alema. Ontologicamente avversario del Cav., ma anche simbolo del “dialogo” con il Cav. ai tempi della Bicamerale (e oggi, per uno strano giro della storia, Renzi, nel suo libro “Avanti”, scrive, smentito da D’Alema, che è stata la “tenaglia” D’Alema-Berlusconi a far saltare il Patto del Nazareno). Tuttavia il D’Alema a suo tempo rottamato da Renzi, poi fuoriuscito dal Pd verso Mdp, dice che è Berlusconi, e non Grillo, “il vero avversario” del centrosinistra. (Da notare che mesi fa anche l’ex sindaco di Roma, ex ministro ed ex vicepresidente del Consiglio Francesco Rutelli, oggi presidente dell’Anica, nel 2001 sconfitto da Berlusconi alle elezioni politiche, ha invitato la sinistra a non sottovalutare un Cav. che “può ancora vincere”).

 

Il "che fai, mi cacci?" dell'ex leader di An ormai scomparso dai radar. E il caso particolare di Michele Santoro

Walter Veltroni. “Hai vinto tu”, disse al Cav. il 14 aprile del 2008 Walter Veltroni, ex sindaco di Roma ed ex segretario pd allora candidato premier per il centrosinistra. Seguirono, per W., Da quel giorni politicamente complicati: faide interne alla creatura partitica battezzata l’anno prima al Lingotto, dimissioni da segretario e successiva carriera da autore di documentari, presentati all’Auditorium di Roma, con cadenza annuale, alla presenza di tutte le autorità.

 

Antonio Ingroia. Ex pm ed ex candidato premier nel 2013 alla testa di “Rivoluzione civile”. Ha definito Berlusconi “una vergogna per l’Italia nel mondo”. E, durante la non travolgente campagna elettorale in cui chissà quanti voti gli vennero scippati dal fratello-coltello Beppe Grillo, ha aggiunto: “Berlusconi non tornerà più”. (Ultime parole famose).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.