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M5s visto da fuori

David Allegranti

FT dice che il partito di Grillo è poco trasparente. Gli altri corrispondenti li abbiamo sentiti noi, e picchiano

Roma. “Dalla morte di suo padre, Davide Casaleggio è diventato una figura centrale nel M5s. Ma il partito populista, che ha una reale possibilità di vittoria” alle prossime elezioni “ha svelato poco sul ruolo e l’azienda” di Casaleggio junior. Insomma, secondo il Financial Times, che ieri ha dedicato un lungo pezzo al partito di Grillo, il M5s è poco trasparente. Ma che ne pensano gli altri corrispondenti esteri? “I Cinque Stelle – dice al Foglio Olivier Tosseri, corrispondente di Les Echos – sono sempre di più simili a un partito qualsiasi; si sono normalizzati, hanno le correnti e come candidato premier hanno Di Maio: uno più democristiano di lui non si può trovare. Insomma, la grande novità non c’è più.

 

All’inizio, in Francia pensavamo che i Cinque Stelle fossero un partito molto di sinistra, ma adesso strizzano l’occhio al centrodestra. Mi riferisco alla questione dei migranti. Oggi i Cinque Stelle sono più compatibili con Salvini che con il Pd. Essere anti-euro prima era un cavallo di battaglia, ore non se ne parla più. Di Maio è anche andato a Cernobbio a parlare con il gotha della finanza italiana. Insomma alla fine prevale sempre il principio di realtà ed è più facile conquistare il governo che esercitarlo. Lo si vede a Roma con la Raggi. L’unica cosa su cui tengono il punto sono le alleanze, che non vogliono fare. Sono un nodo importante perché con la legge elettorale che c’è per conquistare il potere ti devi alleare con qualcuno. In Francia il M5s è stato molto paragonato al Front National, che però aveva paura di ottenere il potere. Adesso bisogna capire se è lo stesso per il partito di Grillo. Se vogliono il potere, devono scendere a compromessi”.

 

Alvise Armellini, corrispondente dell’agenzia di stampa tedesca Dpa, racconta l’evoluzione del M5s a partire da un incontro avuto con Luigi Di Maio: “Quando lo intervistai quasi un anno fa, il vicepresidente della Camera parlava già da candidato premier in pectore. E al tempo, diceva che il M5s era a favore di un referendum sull’euro, di un negoziato con l'Ue sulla ristrutturazione del debito italiano e considerava ‘inevitabile’ il ritorno alla Lira o la creazione di un euro più debole per le economie del Club Med. Non so se tutto questo valga ancora, alla luce di quanto raccontato da Di Maio a Cernobbio; e non mi è chiaro nemmeno quanto di questo programma sia approvato dagli iscritti, ai quali era stato promesso il massimo della democrazia diretta. Ma in ogni caso: visto dall’estero, l’aspetto più problematico del M5s non è tanto il suo presunto programma ‘radicale,’ quanto il modo imprevedibile o disinvolto in cui questo potrebbe essere confermato, rinnegato o semplicemente gettato nel dimenticatoio nel caso in cui Di Maio arrivasse davvero a Palazzo Chigi. Non offrono rassicurazioni né il modo in cui Virginia Raggi sta governando Roma, né l’incertezza sui possibili partner di governo dei grillini (coalizione no-euro con Salvini & co.? L’alleanza coi fuoriusciti Pd di Bersani vagheggiata da Travaglio?) e neppure il ruolo oscuro esercitato da Davide Casaleggio (al quale, giustamente, è stato chiesto ‘ma lei esattamente chi è?’ quando si è presentato alla Associazione della Stampa Estera il mese scorso).

 

Insomma: all’estero l’Italia ha la cattiva reputazione – forse immeritata – di essere un paese troppo distratto dalle proprie beghe politiche interne per essere trattato troppo seriamente. Di questo i grillini non hanno sicuramente colpa: ma mi sorprenderebbe se fossero capaci di raddrizzare la situazione, invece di peggiorarla”. Aggiunge Eric Jozsef, corrispondente di Libération: “Il M5s fin dall’inizio ha suscitato attenzione muovendosi su due binari. Da una parte ha incuriosito con la moralizzazione della vita politica, l’economia sostenibile, una certa gioventù nella scelta della classe dirigente. Dall’altra però ha creato abbastanza interrogativi, se non diffidenza, per il suo atteggiamento brutale, attraverso Beppe Grillo, il vaffanculo e la stigmatizzazione delle élite e dell’Europa. Poi c’è stato il test del governo, in cui abbiamo osservato l’evoluzione del M5s a Roma e Torino. Lì, in qualche modo, c’è stata la presa di coscienza della mancanza di una classe dirigente. I Cinque Stelle poi hanno provato a correggersi e a istituzionalizzarsi su alcune tematiche, penso all’Europa. La figura di Di Maio serve a questo ma così il Movimento perde la sua originalità dimostrandosi molto opportunista e giocando di rimessa. Oggi si vede soprattutto un movimento che cerca di sfruttare le debolezze altrui per meri calcoli di potere. Ha perso il suo aspetto trasgressivo di rinnovamento. L’opacità sul funzionamento, sulle decisioni da prendere e sui suoi rapporti politici, anche in politica estera, è molto preoccupante. Basti pensare che il Movimento all’inizio era per le Pussy Riot e oggi è allineato alla politica di Putin. La chiave di rinnovamento è venuta meno e nel Movimento si sono infiltrati molti opportunisti che dimostrano quanto fosse ambiguo già in partenza il progetto dei Cinque Stelle, che oggi è soprattutto alla ricerca del potere”.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.