Mastella torna a brillare

Luciano Capone

Caduta e resurrezione politica dell’ex ministro della Giustizia fatto fuori da un’inchiesta flop

"Lentamente muore...”, diceva in Senato l'appena dimesso ministro della Giustizia Clemente Mastella citando una poesia: “Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine... muore lentamente chi evita una passione... lentamente muore chi non capovolge il tavolo... evitiamo la morte a piccole dosi...”. E’ un momento storico, il governo Prodi è in bilico, si tiene in piedi con lo sputo, grazie ai senatori a vita, e si vota la fiducia. Mastella non ha ricevuto la solidarietà di nessuno nel governo dopo il terremoto giudiziario che ha travolto la sua famiglia e il suo partito, e così annuncia in maniera solenne l’uscita dalla maggioranza dell’Udeur. Ma fa una gaffe, attribuisce i versi al cileno Pablo Neruda e invece si tratta di una poesia di una semisconosciuta scrittrice brasiliana. E’ nulla rispetto a quello che sta per succedere: i tre senatori dell’Udeur si spaccano in due. Il senatore Nuccio Cusumano annuncia di votare la fiducia, il capogruppo Tommaso Barbato fedele a Mastella entra di corsa in aula al grido di “Pezzo di merda! Pagliaccio! Venduto!”. Cusumano ha un malore, si accascia e viene portato fuori dall’aula in barella, il governo Prodi viene sfiduciato con sei voti di scarto – quindi neppure i voti dell’Udeur sarebbero stati determinanti a tenerlo in piedi – partono i festeggiamenti dell’opposizione, con la (purtroppo) indimenticabile scena dei due senatori di Alleanza Nazionale, Domenico Gramazio e Nino Strano, che in aula stappano champagne e mangiano mortadella. Lentamente muore il governo Prodi, lentamente si frantuma la sterminata coalizione dell’Unione che lo sorreggeva, lentamente finisce la trentennale carriera politica di Mastella: con un partito travolto dall’inchiesta di Santa Maria Capua Vetere, con la moglie Sandra Lonardo – all’epoca presidente del Consiglio regionale della Campania – agli arresti domiciliari, con l’accusa di aver costruito un partito-famiglia che è una specie di associazione a delinquere e con le inchieste dei giornali sull’intreccio di affari tra partito e famiglia sembra davvero la fine. Il politico di Ceppaloni diventa il simbolo della peggiore politica, rappresentante per eccellenza della Casta – successo editoriale di quel periodo – e gli aggettivi “mastelliano”, “ceppalonico” e “ceppalonesco” usati per indicare la degenerazione dei costumi e della politica entrano nel 2008 tra i neologismi della Treccani.

 

Eppure oggi, a distanza di quasi dieci anni da quella sorta di massacro politico-giudiziario, si può dire che Mastella è lentamente risorto. Soprattutto adesso per la recente sentenza di primo grado con cui – dopo tanti anni – lui, la moglie e tutti gli altri co-imputati sono stati assolti con formula piena da quell’inchiesta che travolse il governo. Mastella non ha mai concusso Antonio Bassolino, all’epoca presidente della regione, per piazzare i suoi uomini all’Asl di Benevento. Era normale dialettica politica, lo ha ammesso lo stesso Bassolino che ha smentito nel processo ogni tipo di pressione e lo avrebbe detto anche prima, se solo i magistrati l’avessero ascoltato prima di arrestare un partito. Ma non è solo per questo. Non è la rivincita di uno sconfitto. Negli ultimi anni, da “indagato” e “imputato” – condizione che gli veniva rinfacciata da tutti gli avversari politici – Mastella ha continuato a sopravvivere politicamente. Ha saltato un giro nel 2008, quando neppure Silvio Berlusconi volle candidarlo perché politicamente impresentabile, ma l’anno successivo si è conquistato preferenza per preferenza un seggio al Parlamento europeo con il Pdl e ora è sindaco della sua Benevento, eletto con oltre il 60 per cento dei voti al ballottaggio, dopo aver vinto un corpo a corpo al primo turno con i suoi nemici del Movimento 5 stelle, che prima della sua candidatura erano il primo partito in città. E’ un momento magico per Mastella. Il Benevento, per la prima volta nella sua storia, è in serie A e questa domenica affronta il Napoli in uno storico derby. Nelle stesse ore in cui attendeva la sentenza di assoluzione, Mastella – il politico che più di tutti rappresenta l’economia parassitaria e parastatale meridionale – presentava in un incontro istituzionale un investimento da 50 milioni di euro (per centinaia di nuovi posti di lavoro) da parte della Nestlé, per fare di Benevento un hub internazionale della pizza surgelata: “Quando lo stabilimento sarà a regime – dicono i vertici della multinazionale svizzera – avremo una fabbrica 4.0 che potrà produrre fino a 350 pizze al minuto”. Industria 4.0 e Mastella, una cosa incredibile. Che sarebbe come dire Mastella e Lenny Kravitz. E’ accaduto pure questo. Quest’estate Mastella posta su Facebook una foto che diventa subito virale su tutti i social network: “Con un amico americano. Riconoscete chi è?”. E’ Lenny Kravitz, il rocker che canta “It ain’t over ‘til it’s over”: non è finita finché non è finita. Una lezione di vita che Mastella aveva già imparato da giovane da un’intramontabile rockstar della politica italiana, Ciriaco De Mita.

 

Il ventenne Clemente di Ceppaloni, reclutato da De Mita, alla sua prima candidatura prese pochissimi voti. Una batosta. Giampaolo Pansa racconta che Mastella chiamò deluso De Mita, che lo rimproverò: “Non ritirarti alla prima battaglia persa. La politica è anche sconfitta. Bisogna provare e riprovare, e poi provare ancora”. De Mita è il rottamatore dell’epoca, costruisce la sinistra di Base con una squadra di giovani e nel Sannio, dominato dai vecchi dorotei legati alla Coldiretti come Mario Vetrone e i suoi eredi Roberto Costanzo e Giovanni Zarro, punta sul giovane Mastella. Lo piazza con un’operazione clientelare al Mattino di Napoli – allora di proprietà della Affidavit, la finanziaria editoriale della Dc – di cui diventa corrispondente della pagina locale del beneventano. Poi De Mita lo colloca alla Rai di Napoli, dove tutta la redazione – entrata con gli stessi metodi – fa tre giorni di sciopero contro la sua assunzione. Da lì conduce la campagna elettorale che lo porterà, nel 1976, per la prima volta in Parlamento: per tutto l’anno precedente, quando i colleghi escono da lavoro, Mastella resta in ufficio, chiama tutti i comuni del suo collegio, si presenta come direttore della Rai e segnala un giovane da votare alle politiche: Clemente Mastella. Alle elezioni si possono esprimere quattro preferenze e la cordata basista intende coprire tutti i posti. Si muovono come una falange e si fanno posizionare in lista in modo strategico: De Mita numero 1, Gerardo Bianco numero 6, Giuseppe Gargani numero 7 e Clemente Mastella numero 9: 1976, come l’anno in cui si vota. Gli elettori non possono sbagliare quaterna: tutti eletti.

 

Da lì in poi Mastella diventa capo ufficio stampa del leader di Nusco, gestisce le nomine in Rai e costruisce un proprio consenso elettorale facendo la cresta sulle raccomandazioni del segretario della Dc: quando un direttore di banca si presenta per concordare dieci assunzioni con De Mita, si accorda per lasciarne otto al capo e due per sé. Mastella è insomma un piccolo De Mita, senza la profondità dei “ragionamenti” di Ciriaco ma come lui molto legato al territorio anche quando arriva a incarchi di vertice nazionale. Associa alla consuetudine con la gestione del potere, delle nomine e dei posti un guizzo di intelligenza politica. Per questo dopo Mani pulite rompe con De Mita e si mette in proprio. E’ molto rapido a capire come cambia il format della politica: se nella prima Repubblica era vincente la corrente, nella seconda per contare devi avere un partito personale (l’Udeur), mentre oggi che viviamo una fase di transizione sopravvivono le figure come i sindaci e i governatori. Mastella si muove nel format bipolare e fa pesare i suoi voti dondolando tra destra e sinistra. Anche se lui che storicamente è della sinistra cattolica, a destra viene accettato e a sinistra malsopportato.

 

I due anni da ministro della Giustizia Mastella li ricorda come un “massacro”: “Sono stato umiliato, deriso e delegittimato sul piano morale – dice al Foglio – è questo che è inaccettabile. Questo non è confronto politico, anche aspro, ma distruzione di una persona”. Prima dell’inchiesta di Santa Maria Capua Vetere c’erano state le inchieste e gli scontri con Luigi de Magistris, con il relativo battage mediatico alimentato da Michele Santoro: “Due anni di massacro contro il ministro della Giustizia – dice Mastella – con i tribuni televisivi che presentavano De Magistris come l’eroe dei deboli, degli affaticati e dei depressi. Ma lui faceva politica giudiziaria, senza rispetto per la legge, candidandosi poi dove aveva esercitato come magistrato. Nella sua inchiesta non solo sono stato archiviato, ma non dovevo neppure essere indagato”. A fianco agli attacchi giudiziari, c’erano quelli mediatici più o meno fondati: “C’è stato un atto di demolizione morale con pagine continue del gruppo Espresso, come quella montatura dell’aereo con mio figlio per andare al Gran premio, da cui sono stato prosciolto dal Tribunale dei ministri”. E perché quegli attacchi? “Ogni quindici giorni mi incontravo con Carlo De Benedetti per parlare di politica – racconta oggi Mastella – prendevo pure il caffè con Ezio Mauro. A un certo punto scatta la campagna contro di me. Ero diventato l’obiettivo. Ho chiamato pure De Benedetti per dirgli ‘Scusa ma che ho fatto?’”. Cosa aveva fatto? “E’ semplice, si voleva portare avanti la strategia veltroniana del Pd a vocazione maggioritaria, di cui qualcuno aveva fatto al tessera numero 1, per arrivare al bipartitismo al posto del bipolarismo. E’ un obiettivo politico legittimo, che a me non piaceva, ma non si può portare avanti con la demolizione morale degli avversari”.

 

Il rapporto con il giornale-partito Repubblica peraltro è stato molto altalenante, perché solo pochi anni prima – ma Mastella dice di apprenderlo dal Foglio – il direttore di Rep. Ezio Mauro l’aveva proposto come candidato sindaco di Napoli. Lo racconta in un libro Antonio Bassolino: “Una sera partecipo a una cena politica a casa di Fabiano Fabiani – scrive Bassolino, allora dominus della sinistra in Campania – a un certo punto scoppia un’accesa discussione tra me ed Ezio Mauro. Mauro cerca di convincermi dell’opportunità di candidare Mastella a sindaco di Napoli. E’ un alleato in Campania, a Napoli, a Roma. Mastella, poi, è parte dell’alleanza per Rutelli e contro Berlusconi”. Non se ne farà nulla per l’opposizione di Bassolino, ma la vicenda ricorda le cene tra due “intellettuali della Magna Grecia”, Eugenio Scalfari e Ciriaco De Mita, in cui il predecessore di Mauro cercava di costruire la leadership nazionale del padre politico di Mastella.

 

In realtà con Mastella a sinistra non c’è mai stato amore, è stato sempre visto come un male necessario per poter governare. E così, quando arriva l’avviso di garanzia del 2008, con una maggioranza già logorata, nessuno dell’esecutivo se la sente di difendere il politico di Ceppaloni (“C’era un certo conformismo al ritratto di vecchio democristiano – dice un ex ministro di quel governo – una diffidenza eccessiva verso Mastella e una fiducia nella magistratura. Purtroppo succede ancora oggi, ma allora la cultura giustizialista era molto forte”). Mastella, forse esagerando, ha parlato di un intervento dei servizi deviati: “Non voglio fare il complottista – dice al Foglio – ma ero semplicemente l’anello più debole di un governo che non piaceva a molti e peraltro, da ministro, stavo cercando di riconciliare politica e magistratura. Quando diventai Guardasigilli Cossiga mi disse: ‘Due o tre procure indagheranno su di te, sulla tua famiglia, su tutto, per tenerti sotto pressione’. Non ci credevo, ma ha avuto ragione”. Adesso che è confermato che non ci sono stati reati, si può fare un po’ di autocritica sulla gestione clientelare e familistica del partito? “Posso solo dire che il mio partito era simmetrico a quello Di Pietro – dice Mastella – lui metteva un cognato e io pure, lui metteva il figlio e io mia moglie. Poi però Veltroni si è preso come unico alleato il giustizialista Di Pietro, perché gli serviva uno scudo moralistico”. Loro però politicamente sono durati meno di lei. “Io sono cattolico e penso che esista anche un’altra giustizia”.

 

Mastella in questi giorni ha ricevuto tantissime telefonate di militanti ed ex dirigenti dell’Udeur, entusiasti per l’assoluzione, ma dice di non essere intenzionato rifondare il partito. Eppure, durante la conversazione con il Foglio, tra le tante chiamate che riceve e i tanti telefoni che si passa da un orecchio all’altro, si sente la sua voce in lontananza: “Adesso rifacciamo l’Udeur… serve un partito di riconciliazione nazionale…”. It ain’t over ‘til it’s over, non è finita finché non è finita.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali