Giovanni Bivona

In morte di Giovanni Bivona, protogrillino che oggi sarebbe in Parlamento

Valerio Valentini

Barbiere agrigentino, nel 2003 esordì in politica con clip diffuse online e slogan anticasta diventati virali. L'Italia non era ancora pronta: lo sarebbe stata presto

Forse il suo vero errore, il principale almeno, è stato quello d'aver sbagliato i tempi. Non di tanto, in realtà: e chissà che proprio la consapevolezza d'aver accelerato di appena qualche anno la sua discesa in campo non abbia infine aumentato, nella tarda serata di venerdì 8 settembre, il rammarico di Giovanni Bivona negli attimi estremi della sua vita, quelli che di solito – pare – si riservano ai bilanci conclusivi. Era la primavera del 2003, quando un barbiere di Palma di Montechiaro, cocuzzolo semicalvo circondato da lunghi capelli neri che ricadevano sulle spalle, camicia rigorosamente sbottonata a mostrare il petto villoso, irruppe nella campagna elettorale delle provinciali di maggio. Candidando nel collegio Agrigentino-Favara/Canicattì per “Patto per la Sicilia”.

  

 

Pochi concetti, ma espressi con insistenza, oltre che con un italiano zoppicante che cede al dialetto nei momenti di maggiore accaloramento; una gestualità eccessiva, sbracata. “La politica è triste, facciamola diventare allegra. Protestate con me”. Fine dello spot. “Sono qui per dirvi che dobbiamo lottare tutti insieme, perché non se ne può più di queste cose che manca il lavoro, manca il turismo, l'edilizia, manca la serenità della gente in famiglia, manca la sicurezza del lavoro, 'un si vole spusare chiu nuddu pecché manca 'u travagghiu, così non ci saranno neanche produzione umana (sic!). Io sono qui per protestare con voi”. E ancora: “Con questa politica non si può più andare avanti”. Una videocamera amatoriale, registrazioni improvvisate, distribuzione sul web affidata al passaparola e alla condivisione. Tutto bypassando i media ufficiali, tutto così precocemente “dal basso”. È la primavera del 2003, e la cosa pare incredibile.

 

 

Ma i tempi evidentemente non sono maturi, il “voto di pancia” è ancora vissuto con un residuale senso di colpa e lui resta incompreso. Finché, però, un paio d'anni più tardi alcuni giovani suoi fan creano un blog e da lì rilanciano tutti i suoi video. Diventa un caso. Il suo “Diciamo grazie ché ho bevuto” viene ripreso come slogan gentista da mezza Agrigento. Lui ci prende gusto e alle amministrative del 2006 ci riprova: stesso collegio, stessa strategia mediatica, stessi toni e argomenti. Alla fine anche il Corriere della Sera s'interessa al personaggio, i cui “tormentoni” sono già “un cult in Rete”. “Se si votasse online – ironizza l'inviato di Via Solferino – avrebbe già vinto”. Una boutade. La democrazia fondata sui click, sulle clip di autopromozione e sul “con questi qua non si può andare avanti, mandiamoli via”, appare una prospettiva inverosimile. “Un visionario, oggi sarebbe in Parlamento”, ha scherzato qualcuno sui social per commentare la sua morte. E forse sarebbe questo l'epitaffio migliore per Giovanni Bivona.

  

 

Il quale, però, dopo il secondo tentativo elettorale – un fallimento pure quello – dice basta con la politica. S'innamora del suo personaggio, della fama che lo investe e accetta di ammansirsi e omologarsi, fino a diventare ospite e commentatore per emittenti locali. Seguono comparsate con sbraiti a comando, consigli sull'amore e sul corteggiamento a spasimanti frustrati (“Se non ti nota dalle un ciao e poi pure un fiore, vedrai che ti nota”), lezioni di siciliano e commenti a poesie di Dante, Shakespeare e Ungaretti. Ma diventato ormai parodia di se stesso, Bivona rinnega qualsiasi slancio iconoclasta, ripudia qualsiasi velleità politica. Forse, l'errore vero del barbiere di Palma di Montechiaro è stato un altro: il non averci creduto abbastanza. L'Italia era quasi pronta: bastava insistere ancora un po'.

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