Peter Milne, Motion Picture Directing; The Facts and Theories of the Newest Art, Falk Publishing Co., New York, 1922, on the Internet Archive

Così la strategia del silenzio diventa un vaccino universale contro l'esercito degli ansiogeni

Claudio Cerasa

Germania, Spagna, Italia. In questa particolare fase politica, un numero sempre maggiore di persone fa un ragionamento elementare. Molto rumore spesso nasconde molta fuffa. Molto silenzio spesso può nascondere molta saggezza

Tweet. Post. Retweet. Beep. Selfie. WhatsApp. Alert. Clic. Lo sappiamo tutti, no? Il nostro mondo è un luogo molto rumoroso e ogni volta che ci capita di essere in vacanza ce ne accorgiamo in un lampo di che cosa significa vivere circondati da un po’ di silenzio, lontani da quel frastuono che, come ha segnalato pochi mesi fa l’Organizzazione mondiale della sanità con toni vagamente apocalittici, costituisce ormai “un onere per la salute ambientale secondo solo all’inquinamento atmosferico”. “Il rumore eccessivo – continua l’Oms – danneggia seriamente la salute umana e interferisce con le attività quotidiane delle persone che si trovano a scuola, al lavoro, a casa. Può inoltre disturbare il sonno, causare danni cardiovascolari, ridurre le proprie prestazioni e provocare cambiamenti nel comportamento sociale”. L’insofferenza covata da ciascuno di noi per i rumori eccessivi non è più solo un tema che riguarda la psicologia sociale ma è un tema che riguarda sempre di più un ambito all’interno del quale la strategia del silenzio sta cominciando a dare i suoi frutti.

  

Naturalmente, parliamo della politica, e per ragioni che forse vale la pena passare in rassegna possiamo dire che mai come in questa fase della storia contemporanea la strategia del silenzio temperato si sta configurando come un argine alla rumorosa politica del beep e del clic. In Germania, come ha notato ieri su Bloomberg un columnist molto acuto, Leonid Bershidsky, a cinque settimane dalle elezioni politiche (24 settembre, ci siamo quasi) Angela Merkel, in questo scorcio finale di campagna elettorale, ha scelto di utilizzare contro il suo principale avversario, Martin Schulz, un’arma insieme diabolica e devastante: le vacanze. Schulz, molto sudato, gira il mondo per conquistare la Germania, con risultati mediocri (gli ultimi sondaggi danno la Spd indietro di 15 punti sulla Cdu). Merkel, molto posata, gira invece l’Italia per trovare un po’ di pace, trasformando il suo silenzio in un tassello ulteriore della sua strategia, al centro della quale vi è la volontà esplicita di presentarsi di fronte agli elettori come un argine non tanto all’esercito dei populisti quanto all’esercito degli ansiogeni. Für ein Deutschland, in dem wir gut und gerne leben, recitano gli slogan della campagna della Cancelliera. Ovverosia: per una Germania nella quale possiamo vivere bene ed essere felici.

 

La politica del silenzio moderato, o quantomeno dell’alert temperato, ha già trionfato qualche mese fa in Spagna – dove Mariano Rajoy ha superato per due volte di seguito l’ansiogeno Pablo Iglesias, che su Twitter ha tra l’altro il doppio dei follower del capo del governo (2 milioni contro 1,4 milioni) – e sta trovando una sua dimensione anche nel nostro paese, dove il gradimento di alcuni leader è inversamente proporzionale alla loro esposizione.

 

Prendete il presidente della Repubblica, politico più amato d’Italia, con indici di gradimento molto alti (57 per cento), nonostante quasi nessun italiano abbia mai sentito il suono della sua voce. Prendete Mattarella, dunque, ma prendete anche il presidente del Consiglio, Gentiloni, il cui gradimento, a fronte di un numero di interventi pubblici molto limitato, è secondo solo a quello del capo dello stato. E poi prendete anche i ministri più amati del governo. Franceschini. Delrio. Padoan. Minniti (con quest’ultimo che non ha neppure un account Twitter o un account Facebook e che probabilmente non ha mai sentito nominare la parola Instagram). Certo. Il gradimento di un politico non coincide con la sua capacità di conquistare voti, ma misura piuttosto una propensione particolare, che è quella di entrare in sintonia con il maggior numero di persone possibili.

 

E così in questa particolare fase storica in cui si trova la politica, sommersa dagli ansiogeni e compulsivi professionisti degli hashtag, non può sorprendere che un numero sempre maggiore di persone, faccia oggi un ragionamento elementare. Molto rumore spesso nasconde molta fuffa. Molto silenzio spesso può nascondere molta saggezza. Una leadership moderna, volendo, si costruisce anche così. E chissà quante volte deve averlo pensato anche Matteo Renzi, che una sua popolarità significativa ancora ce l’ha, tornando a ragionare sulla scelta fatta dopo il 4 dicembre, ovvero rinunciare a un percorso che a rivederlo oggi forse un altro effetto lo fa: la strategia dell’assenza, almeno per un po’.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.