Virginia Raggi e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

In Francia Macron, in Italia Micron

Claudio Cerasa

Di Maio ha raccontato a un ambasciatore (che lo ha riferito al Foglio) che dopo le politiche Roma non sarà più un problema del 5 stelle. Perché il dramma Capitale è anche il dramma Di Maio, che sul modello Virginia Raggi aveva scommesso tutto

La Francia ha il suo sontuoso presidente Macron, noi forse abbiamo trovato il nostro eccezionale presidente Micron. Luigi Di Maio è uno dei leader di partito che nel corso di questa estate promette di regalarci un numero significativo di emozioni politiche. Il 24 settembre, tra cinquanta giorni, il vicepresidente della Camera è destinato a essere incoronato candidato premier del Cinque stelle dal capo clown del movimento, ovvero Beppe Grillo, e dal vice clown del comico, ovvero Davide Casaleggio, le cui volontà verranno dolcemente ratificate nelle prossime settimane attraverso una votazione online che si concluderà il 22 settembre, prima di una tre giorni a cinque stelle che quest’anno sarà organizzata a Imola. Da un punto di vista tattico, Luigi Di Maio ha tutte le carte in regola per essere il perfetto federatore degli isterismi anti casta. Non ha idee, ma ne esprime in continuazione. Ha poche competenze, ma non fa nulla per nasconderlo.

   

Non ha mai ottenuto un successo, ma è il grillino più di successo. Anche grazie a queste particolari caratteristiche, il vicepresidente della Camera ha mostrato in più occasioni di essere il primo esempio vivente di algoritmo che si è fatto carne. E anche in virtù di queste qualità Di Maio è riuscito a raggiungere uno status – lui è “quello serio”, pensate gli altri – che gli ha permesso di diventare la condensazione perfetta del grillismo proiettato al governo, grazie a una serie di fattori perfettamente miscelati l’uno con l’altro. Non avere un pensiero specifico su nulla, per essere in grado di sostenere una qualsiasi tesi che possa portare un clic in più sul blog di Grillo. Non avere paura di mostrarsi completamente vuoto, per essere in grado di trovare punti di contatto anche con mondi in teoria lontani dal proprio.

 

In questo curriculum da perfetto grillino di governo, che in questi mesi ha sedotto un gran numero di osservatori e di notisti politici, c’è però una macchia importante con la quale il vicepresidente della Camera è costretto a fare i conti in questa particolare fase della sua vita, in cui si trova a un passo dall’essere il candidato server del Movimento 5 stelle. Non parliamo della sua scarsa conoscenza dell’italiano (alle elementari il vicepresidente della Camera deve essersi perso qualche lezione con il congiuntivo) o della sua scarsa conoscenza della punteggiatura (alle elementari il vicepresidente della Camera deve essersi perso la lezione sulla virgola che non va mai tra il soggetto e il verbo).

 

Non parliamo della sua scarsa conoscenza della storia (Pinochet si scrive tutto attaccato non Pino Chet) o della sua scarsa conoscenza della geografia (quello lungo e verticale, lì in Sudamerica, è il Cile, non il Venezuela) o della sua scarsa conoscenza della geopolitica (pochi giorni prima che il presidente Maduro cominciasse a macellare i suoi cittadini, Luigi Di Maio, con lungimiranza, suggerì di affidare al Venezuela del presidente Maduro il compito di pacificare le tribù della Libia). Non ci riferiamo a tutto questo ma ci riferiamo a qualcosa di più grave per Luigi Di Maio: Virginia Raggi.

 

Le performance del sindaco di Roma sono una macchia molto grave all’interno del curriculum di Luigi Di Maio non solo perché il modello di governo del sindaco di Roma è un disastro di dimensioni epocali ma anche perché la scommessa Raggi è stata prima di tutto una scommessa di Luigi Di Maio. Il vicepresidente della Camera, che in fondo è un algoritmo intelligente, sa bene che il curriculum di un candidato premier rischia di non essere molto solido se si limita a registrare solo quello che registra oggi. Un’iscrizione alla facoltà di Ingegneria e Giurisprudenza, ma senza laurearsi. Un’iscrizione all’albo dei giornalisti, ma senza diventare professionista.

  

Un’attività svolta per alcuni mesi da webmaster, per la quale potrebbe non passare alla storia. Un passaggio da steward presso la tribuna autorità dello stadio San Paolo di Napoli, uno da assistente alla regia, uno da agente commerciale, uno da manovale di un’impresa edile. Una candidatura da consigliere comunale a Pomigliano d’Arco nel 2010 (59 voti). Una candidatura alle parlamentarie grilline nel 2013 (eletto con 189 voti). Tutto molto interessante, ma non sufficiente per poter ambire a guidare una delle nazioni più potenti del mondo. Serviva altro, per Di Maio. Serviva dimostrare di aver ottenuto un successo nell’unico mestiere svolto con continuità nella sua vita: la gestione degli enti locali del Movimento 5 stelle. Passi per Parma (sindaco cacciato). Passi per Comacchio (sindaco cacciato). Passi per Quarto (sindaco cacciato). Passi per tutto questo. Ma come si fa a far finta che a Roma non sia successo nulla? E come si fa a sopravvivere come candidato premier, ovvero come modello di governo possibile, se il tuo modello di governo possibile è diventato un clamoroso e negativo esempio di governo in tutta Italia?

Più che con la base del 5 stelle, il vero problema del prossimo possibile candidato premier grillino è con tutti quei mondi lontani dal server di Casaleggio che avevano mostrato una certa disponibilità a dialogare con il Micron italiano e che oggi non possono che chiedersi ad alta voce o a bassa voce quanto può essere credibile un già poco credibile candidato premier come Di Maio, che oltre ad avere tutte le caratteristiche che abbiamo elencato ne ha una che oggi è complicata da smentire: aver investito tutta la propria credibilità residua su un esperimento che si è trasformato in un fallimento politico. Esiste un modo per uscirne? Esiste un modo per schivare la definizione profetica di Vincenzo De Luca? Ovverosia: “Questi Cinque stelle sono delle mezze pippe”. Una via c’è. E in questa via c’è anche una notizia.

 

Da mesi, come è noto, Luigi Di Maio tenta di irrobustire la sua corsa da candidato premier cercando di costruire punti di contatto con alcuni ambasciatori. In alcuni casi i contatti funzionano (il 14 giugno, a Roma, all’Hotel Kolbe, come raccontato dalla Stampa, 27 rappresentanti diplomatici dei paesi che aderiscono all’Unione europea hanno incontrato Di Maio per parlare di Europa). In altri casi, i contatti funzionano meno (il 14 luglio Di Maio ha detto di aver chiamato le ambasciate degli stati confinanti con l’Italia a una a una per chiedere l’invio dei loro canadair ma l’ambasciata francese, come svelato da Daniele Raineri sul Foglio, non ha mai ricevuto una telefonata di Di Maio e l’unica ambasciata ad aver ricevuto una telefonata è quella tedesca, con l’unico problema che la Germania è uno dei quattro paesi europei che dispone di aerei canadair e con l’altro particolare che in questi casi le richieste di cooperazione passano non per le ambasciate ma per il Meccanismo Europeo di Protezione Civile). In ogni caso, canadair a parte, i contatti con i diplomatici e gli ambasciatori, anche italiani, sono stati molti.

In uno di questi incontri, Luigi Di Maio si è ritrovato di fronte un interlocutore – più precisamente: un ambasciatore – che gli ha posto una semplice domanda: onorevole, ma come pensate di risolvere il problema di Roma? L’interlocutore ha ascoltato da Luigi Di Maio il seguente ragionamento: Virginia è un disastro, ma non si preoccupi, dopo le prossime elezioni il problema non ci sarà più. Senso del discorso: fino alle prossime elezioni politiche non possiamo fare quello che vorremmo fare a Roma, ovvero liberarci del problema Raggi. Dopo le elezioni, invece, liberarci di questo problema sarà più facile. Di Maio non ha specificato le modalità con cui il 5 stelle intende risolvere il problema ma lo schema sembra essere chiaro: per dimostrare che il modello di governo di Roma non è il modello di governo grillino, è necessario oggi far sapere in giro che il 5 stelle intende separare presto il suo destino da quello del sindaco di Roma (e poi chissà se capiterà davvero). Il Foglio ha avuto la possibilità di chiacchierare con chi ha raccolto la confidenza del vicepresidente della Camera. Prendere per vere le promesse di Di Maio è un’operazione pericolosa, ma ci sarebbe un modo facile per capire se il vicepresidente della Camera è convinto del contrario. 

  

Basterebbe affermare un concetto che potrebbe entrare persino nello spazio di un tweet: “Il modello di governo sperimentato a Roma è il modello con cui il 5 stelle si candida a governare l’Italia”. Lo farà l’onorevole Gigi? Nel frattempo, negli ultimi giorni, possiamo dire che sono successe due cose importanti. Attraverso la figura di Davide Casaleggio – e in particolare grazie alla domanda di un giornalista spagnolo che in conferenza stampa ha chiesto al capo server grillino: “Scusi ma a lei chi l’ha eletta?” – abbiamo avuto la possibilità di osservare, in diretta, la trasformazione improvvisa del mito della democrazia diretta nel fantoccio della democrazia indiretta. Attraverso la figura di Virginia Raggi, invece, e attraverso la sua capacità a selezionare la classe dirigente e la sua abilità a gestire, abbiamo visto qualcosa di più. Abbiamo visto, in diretta, che risultati offre la democrazia diretta. In entrambi i casi lo spettacolo non è granché. E forse chi in questi mesi ha trattato su molti giornali Luigi Di Maio come se fosse il nostro Macron qualche domanda potrebbe cominciare a farsela, sul nostro eccezionale presidente Micron.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.