L'abbraccio tra Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista dopo l'approvazione, alla Camera, della legge che abolisce i vitalizi (foto LaPresse)

Il no al vitalizio e lo squilibrio tra i poteri

Redazione

La politica che vota contro i vitalizi è la rottamazione di Montesquieu

Il giubilo bipartisan dopo il voto di ieri alla Camera sul ddl Richetti per tagliare i vitalizi anche agli ex parlamentari, passato con 348 sì, certifica la competizione fra Pd e M5s e pone una domanda: chi vincerà l’ambito premio di partito più populista alle prossime elezioni politiche? Dallo schieramento di Beppe Grillo è lecito aspettarsi l’anti parlamentarismo, praticato già in campagna elettorale e proseguito anche dentro le istituzioni. Quello che risulta incomprensibile è il comportamento del Pd, che in teoria dovrebbe essere l’argine al populismo e invece si mette addirittura sulla scia del grillismo, gareggiando in primogeniture pauperiste con i Di Maio. Il voto di ieri non è un caso, ma fa parte di una strategia. Ad aver presentato il ddl è infatti Matteo Richetti, deputato, renziano, nonché responsabile comunicazione del Pd. Non esattamente uno sconosciuto, ma un parlamentare e dirigente di partito con un ruolo riconosciuto e di primo piano, specie in un partito che punta sulla comunicazione. Oltretutto, Richetti si è fatto conoscere in questi anni proprio per queste battaglie anticasta, già ai tempi dell’Emilia Romagna. E che cosa ci comunica questa lotta contro i diritti acquisiti degli ex parlamentari, in omaggio alla “gggente” sempre pronta a invocare il pubblico ludibrio per le istituzioni e la classe dirigente? Che il Pd su alcuni temi cede strutturalmente ai “frame” del M5s e rinuncia ad avere un’agenda propria. Invece, del tutto controcorrente, il Pd avrebbe dovuto rivendicare (qualcuno in Forza Italia, e non solo, ieri lo ha fatto) che la politica e la democrazia hanno un costo e che è giusto sostenerlo. Peccato. C’è chi pensa che i parlamentari debbano essere privi di tutele, per un malinteso senso di uguaglianza. Eppure non è così, lo stabilirono anche i costituenti dopo la caduta del fascismo. Chi saranno i parlamentari nella nostra Repubblica nuova?, si chiesero i costituenti. A chi li paragoniamo? E dissero: sono dei magistrati. Magistrati della Repubblica. Per questo stipendi e tutto il resto furono omologati a quelli dei magistrati, a garanzia dell’autonomia della politica dai poteri. Una politica economicamente dipendente da altri è invece garanzia che a praticarla possono essere solo i ricchi e chi gode di privilegi esterni alla cosa pubblica. Oggi gli unici ai quali non vengono toccati i privilegi sono i magistrati. Un altro segno, povero Montesquieu, di uno dei drammi culturali dell’Italia: la tendenza a creare uno squilibrio progressivo tra il potere legislativo e quello giudiziario, come sempre a vantaggio del secondo.