Renzi fugge dall'armata Brancaleone. Fa bene ma non basta

Sergio Soave

Il segretario ha ragione quando rifiuta qualsiasi tipo di trattativa per allearsi con la sinistra sinistra. Ma questo non può essere l'unico o il principale connotato della piattaforma del Pd

La sinistra italiana ha una lunga e a tratti gloriosa storia, ma la funzione che ha esercitato nella vita nazionale è stata, fino alla caduta del muro di Berlino, soprattutto una storia di opposizione. Ci sono state frazioni minoritarie che hanno partecipato a coalizioni di governo, o che hanno fatto parte, come Filippo Turati e poi Giuseppe Saragat e infine con un ruolo più da protagonista Bettino Craxi, di un blocco sociale che sosteneva di fatto una prospettiva moderatamente riformista. La parte maggioritaria della sinistra, prima quella massimalista, poi quella comunista e post-comunista, ha considerato con disprezzo queste scelte mentre accadevano (salvo poi rivalutarle in sede storica qualche decennio dopo).

 

Quando il “nemico” è di destra, sia Alcide De Gasperi o Silvio Berlusconi, la sinistra trova un baricentro e riesce persino in qualche caso a allargare le alleanze, come fece nel 1953 per battere la legge maggioritaria o negli ultimi decenni per contrapporre con successo al centrodestra una coalizione scombiccherata guidata da un tecnocrate come Romano Prodi. Oggi il “nemico” della sinistra sinistra è Matteo Renzi, contro il quale sono rientrate in funzione le antiche idiosincrasie per i “revisionisti”. Basta seguire un po’ il dibattito che si svolge tra le diverse sigle in cui è scomposta quest’area per capire che solo l’antirenzismo è il baricentro verso il quale convergono (quasi) tutti.

 

Matteo Renzi fa benissimo a non accettare una trattativa per realizzare un’alleanza con loro, non solo perché sarebbe assurdo un cartello tra renziani e antirenziani, ma perché sa bene che una sinistra che trova il suo equilibrio solo nella contrapposizione a un “nemico” finisce con l’isterilire le potenzialità riformatrici. Purtroppo questa è solo una condizione necessaria per presentare un profilo e una proposta tendenzialmente maggioritaria e di governo, non è però di per sé sufficiente. Se il rifiuto dell’ammucchiata a sinistra resta l’unico o il principale connotato della piattaforma del Partito democratico, anche questa formazione finisce per apparire come caratterizzata dalla polemica contro il “nemico”, il che la fa ricadere nella tradizione che si vuole, giustamente, superare e criticare. E’ comprensibile che l’armata Brancaleone che segue, spesso senza nemmeno saperlo, il vessillo di Massimo D’Alema, insista nella duplice manovra di rivendicare un’alleanza a sinistra e di escludere da questo orizzonte un ruolo di guida per il leader del Partito di gran lunga più forte di questa ipotetica coalizione. Se Renzi passa la maggior parte del tempo che ha a disposizione sui mezzi di informazione per reagire a questa manovra, senza riuscire se non frammentariamente a superare quell’angusto orizzonte per enunciare obiettivi e programmi per l’Italia finisce ingabbiato. Ha enunciato spesso la volontà di parlare di problemi e non di alleanze, ma non riesce ancora a farlo. E il tempo a disposizione non è più tanto.