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Chi ha paura di Massimo D'Alema candidato premier?

Marianna Rizzini

Risposte all’appello del Foglio per la leadership a sinistra. Parlano Latorre, Fassina, Gotor, Civati, Bentivogli

Roma. Il baffo di Massimo D’Alema che si riallunga sulla scena post-rottamazione, a partire dalla campagna per il “no” al referendum costituzionale del dicembre scorso. E ancora: il baffo di D’Alema che, sornione, per così dire sogghigna quando la scissione tanto agognata, ma mai realizzata, infine avviene, materializzandosi in soggetto politico dal nome composto (Articolo1-Mdp). Poi, il baffo di D’Alema che non trema di fronte ai fischi di chi, guardando a Giuliano Pisapia, pensava di poter federare la sinistra ma non nel nome di D’Alema, per l’appunto. E invece Pisapia ha detto no. Non si candida. C’è ma non c’è. E dunque a sinistra si cerca un leader, con buona pace del giovane Roberto Speranza, leader di nome ma forse non di fatto. E siccome D’Alema tanto ha brigato che alla fine ha ottenuto (la scissione e la tentata riaggregazione anti-renziana), qualcuno si è domandato: ma che vuole fare, D’Alema? Questo giornale, nel suo piccolo, ieri ha lanciato l’appello-sfida per “D’Alema candidato premier” (sottotitolo: “Chi sostiene la necessità di creare una nuova sinistra ha il coraggio di arrivare fino in fondo e di essere coerente con se stesso?”). Ma che cosa ne pensano, nel Pd, gli uomini che a D’Alema sono stati politicamente vicini e quelli che ora, a sinistra del Pd, si trovano D’Alema come ingombrante deus ex machina? Tra i primi, il senatore pd Nicola Latorre pensa che sarebbe “del tutto naturale” un D’Alema che si mette direttamente “in gioco” per guidare la sinistra a sinistra del Pd.

 

“Com’è noto”, dice Latorre, “in virtù di un lungo rapporto politico e personale che mi ha legato a D’Alema, non mi sono mai aggiunto al coro di quanti hanno espresso giudizi personali su una personalità che con Walter Veltroni ha segnato in modo determinante la vicenda della sinistra italiana a partire dalla metà degli anni Novanta. Non ho condiviso la sua scelta politica di contrastare Matteo Renzi dopo il deludente risultato elettorale delle scorse politiche e men che meno ho condiviso la recente scissione con il fragilissimo ragionamento politico che l’ha sostenuta . Ciò non toglie che quella di D’Alema è stata una leadership decisiva nella costruzione di una sinistra di governo. E a sinistra del Pd resta ancora oggi la figura politicamente più significativa. Sarebbe del tutto naturale che si mettesse  in gioco per guidarla”.

 

Ma l’idea del baffo di D’Alema che si allunga in prima linea mentre fervono i preparativi per la creazione di una nuova Cosa Rossa incontra molta resistenza (e c’è chi, nel Pd, dice un osservatore vicino al mondo ex dalemiano, pensa che “altri muoverebbero alla volta di Mdp, non ci fossero D’Alema e Bersani come numi tutelari”). Dice intanto il senatore scissionista (Mdp) Miguel Gotor: “Salvo improbabili sorprese, alle prossime elezioni non ci saranno candidati premier né dal punto di vista politico né tecnico. Una stagione, iniziata nel 1993, si è conclusa il 4 dicembre, ma perché cambi la mentalità ci vorrà un po’ di tempo”. E, tra i transfughi pd, il deputato e pilastro di Sinistra italiana Stefano Fassina, già viceministro dell’Economia nel governo Letta, boccia senza pietà l’ipotesi “D’Alema premier”: “A parte che del candidato premier con la legge elettorale proporzionale non c’è bisogno, il leader della sinistra non lo sceglie né Repubblica, né, con tutto il rispetto, il Foglio, né lo nomina alcun autorevole leader politico. La mia proposta è: primarie per programma e leader,  unica fonte di legittimazione possibile”.

 

Anche il deputato ex pd e leader di “Possibile” Pippo Civati vede l’ombra di D’Alema come possibile aggravante al già presente problema “generazionale”, un “tema che si impone, anche senza metterla come l’aveva messa Renzi, il quale peraltro appare politicamente un po’ invecchiato. Bisogna trovare la giusta collocazione ad alcune figure, a mio avviso, in modo che l’operazione non venga percepita come mera operazione di ristabilimento di chi c’era prima”. E pare che il nome di D’Alema evochi a sinistra, dice Civati, “le responsabilità” della classe dirigente che ha portato ai fallimenti della sinistra medesima.

 

Poi c’è chi, come il sindacalista Marco Bentivogli, segretario Fim Cisl, pensa che D’Alema “debba assolutamente” scendere in campo in prima persona: “Mi verrebbe una battuta, sulla scia di quello che ha detto D’Alema ai pugliesi: ‘D’Alema candidato premier? Si potrebbe sacrificare solo se glielo chiedesse a gran voce il paese’. Fuor di battuta: una volta gli over 60 aiutavano a limare le asperità, ma ora la situazione pare capovolta. E D’Alema, figura divisiva, faccia onore alla sua storia, si faccia avanti. Pare si stia ‘candidando-non candidando’ per negazione a Renzi, da un lato, e che dall’altro consideri replicanti le giovani generazioni. Entrambe le cose meriterebbero un impegno diretto”.


   

Quando un leader genera speranza e aspettativa, sostiene D’Alema, ha il dovere di confrontarsi con il voto popolare. Noi siamo con lui. Per questo vogliamo un D’Alema candidato premier. Per questo vi invitiamo tutti a scrivere qui: [email protected].

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.