Silvio Berlusconi (LaPresse)

Palmieri ci spiega perché Berlusconi va matto per Facebook

David Allegranti

Il responsabile digitale e della comunicazione elettorale di Forza Italia, al Foglio: "La comunicazione è un abito su misura, di conseguenza non c’è un modo univoco di stare online”

Roma. Ci sono molti modi di comunicare, online e non solo. Anche l’assenza lo è. Lo certifica Antonio Palmieri, deputato e responsabile digitale e della comunicazione elettorale di Forza Italia, autore del saggio “Internet e comunicazione politica” (Franco Angeli). “Il motto di Renzi – dice al Foglio Palmieri, che si occupa di comunicazione politica da 23 anni – è ‘comunico ergo sum’. Comprensibile, nell’era nella quale la politica è comunicazione e la comunicazione è politica.  Tuttavia il segretario Pd non dovrebbe mai dimenticare una delle leggi della retorica (e della vita): il troppo è sempre sbagliato. Invece lui insiste, non capendo che una strategica assenza comunica a volte più di una assillante presenza. Berlusconi, specie in estate, spariva per settimane dalla scena pubblica, così da generare attesa per il suo rientro. Ognuno ha il suo metodo”.

    

Il leader di Forza Italia l’arte della sparizione l’ha sempre praticata, anche quando governava. “Spariva dai media per riapparire a settembre inoltrato, era un modo per ritemprarsi ma anche per lasciar respirare il pubblico e creare l’attesa-nostalgia per il ritorno”. Questione di scelte. Anche su Internet. Salvini scrive quindici post al giorno, Renzi twitta, Berlusconi invece preferisce Facebook (non ha account Twitter) e il suo staff, coordinato da Palmieri, produce un numero limitato di contenuti, soprattutto in questo periodo in cui non c’è campagna elettorale. “Bisogna fare alcune premesse. Anzitutto, la comunicazione è un abito su misura, di conseguenza non c’è un modo univoco di stare online”.

   

Per esempio, la “fuga” estiva di Berlusconi non vale solo per i media tradizionali, ma anche per i social come Facebook. L’altra premessa da fare, aggiunge Palmieri, “è che siamo sempre stati abituati a fare una comunicazione calibrata. Per questo cerchiamo di produrre degli oggetti di comunicazione che siano finiti, non tirati via, che non lascino spazio a strascichi e che non siano solo frutto di pura reattività anche quando sono iniziative di reazione a fatti altrui. Questo perché Berlusconi comunica così, senza sbavature. E anche la sua traduzione digitale deve essere così, senza imprecisioni. Se lo facesse Grillo non sarebbe credibile, perché è un altro tipo di personaggio e comunica in altro modo”.

  

La stessa scelta di usare Facebook lo certifica. “Facebook è la piazza e una pagina su Facebook è un gazebo in una piazza. Lì ci sono 25-28 milioni di italiani. Twitter è una via di mezzo fra un’agenzia di stampa, un ufficio di relazioni pubbliche e un luogo di informazione. Ma, almeno in Italia, è un luogo più di nicchia, quindi la nostra scelta prevede un tipo di comunicazione diversa. Twitter ha una sua grammatica e una sua sintassi. Berlusconi, avendo sempre un intento didascalico, vuole spiegare in modo compiuto la propria posizione. E Facebook non ha limiti di spazio, per questo è adatto a raggiungere l’obiettivo”.

   

Si veda, per esempio, il lungo post sui vaccini di giovedì scorso. Su Facebook, aggiunge Palmieri, “non interagiamo mai con l’account di Berlusconi, perché è complicato, tranne in circostanze particolari. Però leggiamo pressoché tutto e i commenti sono fonti di ispirazione per nuovi oggetti di comunicazione, come le infografiche”. Ma come lavora lo staff digitale di Berlusconi? “Qualcuno ci ha dipinto come la Spectre, in realtà siamo una bottega artigiana, con Berlusconi che è il capo bottega. Al momento siamo un gruppo ridottissimo, spero di allargarlo quando comincerà la campagna elettorale. A volte lavoriamo fisicamente insieme, altre volte a distanza via email. Certe volte è direttamente lui che scrive un contenuto e lo fa girare per avere un riscontro e gli altri ‘artigiani’ cesellano il prodotto”.

 

L’importante, però, è essere sempre molto cauti e precisi. “Certe volte è meglio non far nulla, per evitare di cadere in fuorigioco. Nella comunicazione su Internet, e nel libro lo spiego, c’è sempre il ‘triangolo’ come dice la canzone di Renato Zero: ci sei tu, c’è il tuo pubblico e poi ci siete voi, i giornalisti. Non è mai una conversazione privata, ma anzi è sempre interamente pubblica. Il post di Corsaro su Fiano è solo l’ultimo esempio”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.