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Domandarsi laicamente perché Renzi ha scritto così il libro di Renzi

Maurizio Crippa

Non sono le idee che mancano. Ma il rischio è che passino solo gli scivoloni e certe curvature populiste: è l’obiettivo voluto?

“Non pensate, tuttavia, che l’autore di questo libro abbia mai cullato il fiero sogno di farsi correttore dei vizi dell’umanità. Dio lo salvi da questa ingenuità!”

Michail Lermontov, Prefazione a “Un eroe del nostro tempo”

 

Sul Corriere l’Europa, su Rep. il fuoco amico, alla stampa Obama, a noi del Foglio e al Sole le coraggiose sfide fiscali. Non è evidentemente il tramite con la stampa che gli manca. Non sono nemmeno i temi: i fondi per le periferie, l’assegno universale per i figli, l’immigrazione, la giustizia. Eppure Matteo Renzi ha scritto un libro con l’idea di fare un’operazione diversa da un programmino politico. E l’aspetto rischioso è questo. Casualmente, “Avanti” esce in quasi contemporanea con una nuova traduzione (di Paolo Nori per Marcos y Marcos) del capolavoro di Michail Lermontov “Un eroe del nostro tempo”, un libro straordinariamente politico, e attuale. Casualmente, ho iniziato a leggere prima Lermontov. Se il titolo abbia un suggestivo legame con l’autore di “Avanti”, non lo so. Nella Enews 482 di lunedì 10 luglio, forse travolto dal rinculo delle sue stesse anticipazioni, Matteo Renzi ha scritto una sorta di prefazione al suo libro, o un indirizzo di lettura. E’ “qualcosa di profondamente diverso” da un qualsiasi libro politico, spiega: “Le idee ci sono. Gli aneddoti pure… Ma il punto vero è umano, personale”; “scrivere, in un periodo come questo, mi ha permesso allora di mettere in fila le cose”. Nella sua, di prefazione, Lermontov ammoniva però che “di solito ai lettori non interessano gli scopi morali, né gli attacchi giornalistici, e perciò essi non leggono le prefazioni”, poiché “il nostro pubblico è ancora così giovane e ingenuo che non capisce la fiabe se alla fine non vi trova la predica”. Forse anche Matteo Renzi avrebbe dovuto leggere prima Lermontov.

 

Perché poi, già venerdì scorso, è andato a sbattere col muso su quella frase, aiutiamoli a casa loro, e sul resto. Nella Enews si lamenta dei “commenti un po’ superficiali di chi magari non ha seguito il tuo ragionamento ma ti giudica senza appello, come è accaduto per la frase sui migranti”. E ammettiamo che abbia ragione, Renzi. Ma lo è, un errore senza appello. Quella frase non andava presentata così, all'improvviso, andava spiegata, argomentata con calma. La politica in un tuìt l’ha inventata lui, a quei commenti sui social resterà inchiodato. Viene il dubbio che il problema di Renzi sia un problema di comunicazione. Il racconto dell’invito di Obama è così piccino, raccontato così. Nessun politico, che non fosse D’Alema con la sua “bye-bye Condi”, dovrebbe raccontare ricordini così, che non dicono nulla di reale della politica estera italiana. Sul Fiscal compact, e ammettiamo ancora che abbia ragione lui, s’è beccato le prudenze di Padoan, un sopracciglio inarcato di Carlo Calenda. Qual è il risultato politico che una proposta fatta in quel modo si prefigge? Poiché, se la comunicazione è il messaggio, il messaggio che esce dal libro (o meglio dalle anticipazioni del libro: cioè da tutto ciò che, realisticamente, verrà letto e ricordato del libro – e Renzi non può non saperlo) saranno certe ovvietà, certi passaggi col cuore in mano. “E’ un libro umano, tutto qui. C’è un’anima rinchiusa, non solo un’idea o un retroscena”. E’ un’altra cosa che non si dice, non si scrive.

 

Ma soprattutto resteranno certe curve del ragionamento che appaiono come pericolose sbandate verso il populismo, più che un mettersi nella scia del Tour de France di Macron. Renzi, che è un uomo fiducioso e generoso, vuole per così dire ragionare ad alta voce. Ma il rischio che corre non è “personale”, è totalmente politico. E’ qui, in questa zona della politica, che vuole collocarsi Renzi? Davvero? Probabilmente no, ma il risultato rischia di essere quello. Renzi dice, nella sua newsletter, che “quando qualcuno indica la luna, guardare il dito non aiuta. Da tempo ogni mia/nostra parola viene vivisezionata in profondità cercando le contraddizioni, i limiti, gli errori. Tutto naturale, fa parte delle regole del gioco. Però ti viene voglia di reagire”. Fa bene. Il problema è se, per generosità o per qualche ingenuità di visione, invece della luna ti limiti a indicare una serie di dita che paiono voler ghermire un po’ di elettorato in fuga, che tanto però non ti seguirà. Il grande poeta polacco Czeslaw Milosz ammoniva: “Chi ama la res publica avrà la mano mozzata”. Figurarsi a farsi pestare fantozzianamente “i diti” per sbaglio di congiuntivi politici. La rivendicazione di Matteo Renzi è nobile e sincera, un boy scout: “L’ho scritto io, questo libro. Può sembrare un’aggravante, forse lo è”. Sì, lo è.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"