Dario Franceschini (LaPresse)

Unire le sinistre, ovvero la morte del Pd

Giuliano Ferrara

Scommettere sull’unione coatta significa uccidere il progetto del Pd

Che il Pd sia “nato per unire”, come dice il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, a me pare falso. Certo, un partito non nasce per dividere, per esacerbare i rapporti con potenziali alleati, per creare dissonanze impossibili nel corpo sociale e civile. Ovvio, nessuna organizzazione politica inscrive la confusione e il bellum omnium contra omnes nel suo progetto identitario. Ma il Pd è nato per un progetto di autonomia che ha quasi subito preso il segno della “vocazione maggioritaria” cosiddetta. Essendo stati suggeritori di quella formula all’epoca di Walter Veltroni, forse siamo in grado di spiegarci. Il coalizionismo ulivista ha dato quello che poteva dare, ma si è risolto gradualmente in un fallimento o comunque la si pensi si è esaurito in tutte le sue esperienze di governo e di assetto delle relazioni tra le sinistre varie, da Prodi a D’Alema a Giuliano Amato premier.

 

Su questo Francesco Cundari docet, con il suo saggio di lunedì pubblicato qui, e non c’è nulla da aggiungere, è chiaro. Da questo processo finito nella dissipazione, con tutti i meriti parziali ascrivibili alle leadership coalizioniste e ai loro uomini di governo, ché in questa storia non ci sono solo folli errori faziosità e guerre tra capi, da tutto questo nasce l’idea e il procedimento politico del Pd.

Un partito che si aggrega per unire varie anime culturali in una formula politica riformista, di governo, che marcia autonomamente dal pulviscolo dei progressismi di sinistra e dalla spirale maligna di euforia e depressione ideologica lasciata da girotondi e ceti medi riflessivi nell’epoca dell’antiberlusconismo maggiore. Michele Salvati qui ne delineò con argomenti persuasivi il programma e la fisionomia, arrivando con il suo stile a proporre un nucleo dirigente che preconizzava la rottamazione renziana arrivata alla fine (Salvati menzionava l’esclusione di leader come D’Alema e Marini dal gruppo di testa di un partito rinnovato nei gruppi dirigenti). Poi Fassino e Veltroni, dopo il flop del secondo governo Prodi e in vista di nuove elezioni politiche, precisarono il senso della “vocazione maggioritaria” concludendo per l’indipendenza elettorale delle liste dei democratici (con l’eccezione malaugurata, e subito rivelatasi un triste e inutile escamotage, della coalizione con il partitino giustizialista di Di Pietro).

   

Alla fine Renzi, mentre la ditta di Bersani incorreva in parecchi spiacevoli incidenti su una linea neoulivista, compì l’opera originaria e varò il rinnovamento generazionale sempre all’insegna della vocazione maggioritaria e dell’autonomia del Pd. Quindi, e Franceschini il percorso lo ha seguito dappresso, ne sa qualcosa, il Pd non è “nato per unire”, nello stesso senso dell’Ulivo e dell’Unione, ma per fare altro: dare un’identità maggioritaria e di governo a una formazione che si liberava dalle catene del vecchiume ideologico-politico incompatibile con una seria cultura di governo, per non dire del superamento dell’antiberlusconismo più ottuso e di uno spirito competitivo, modernizzante, legato tra l’altro all’esistenza di leggi elettorali maggioritarie.

  

Il Pd è nato per distinguere e delineare una soluzione specifica, nuova e non genericamente unitaria, come sbocco del riformismo italiano di cui si riteneva titolare. Ora che c’è il proporzionale in vista, con ogni probabilità, e dopo mille cambiamenti ulteriori, si può decidere di mutare di segno il senso stesso del Partito democratico, e tornare all’alchimia coalizionista e all’alleanza progressista più o meno ulivista o unionista, ma si deve avere la schiettezza di riconoscere che questo non era il progetto originario.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.