Davide Casaleggio (foto LaPresse)

L'uomo sòla al comando

Claudio Cerasa

Trasformare il maoismo digitale in una raffinata forma di democrazia. Più che parlare delle chat di Raggi, è giusto parlare del capolavoro di Casaleggio & co. Oltre Roma. Come si passa da politici eletti a dipendenti di un’azienda privata

Immaginate se improvvisamente scoprissimo che il sindaco di New York – o di Parigi o di Berlino o di Londra o di Madrid o di Barcellona o di Vienna – fosse ostaggio di un’azienda privata che gestisce un blog privato che fattura grazie a pubblicità ricavata attraverso la moltiplicazione di clic generati dai contenuti offerti da politici che accettano di essere trattati come sudditi da quello stesso blog e da quella stessa azienda privata. Immaginate se improvvisamente scoprissimo che il sindaco di New York – o di Parigi o di Berlino o di Londra o di Madrid o di Barcellona o di Vienna – fosse costretto a governare la sua città non in nome del popolo che lo ha eletto ma in nome di un contratto coercitivo che impone a quel sindaco di prendere decisioni per la sua città solo se concordate preventivamente con il gestore di un blog privato, gestito da un’azienda privata, che ha imposto a quel sindaco di firmare una clausola vessatoria che vìola i diritti garantiti dalla Costituzione e in base alla quale un sindaco che sceglie di seguire la sua testa e non gli input di un blog è condannato a pagare 150 mila euro di multa.

 

Immaginate tutto questo, immaginatevelo per un attimo, e chiedetevi poi se esistano in Italia un’opinione pubblica e una classe dirigente sufficientemente consapevoli di un fatto che dovrebbe essere ovvio e che invece non lo è: un movimento non democratico che non rispetta la democrazia e non rispetta la Costituzione è un movimento che potrà avere molti garanti pronti a guidare i suoi eletti ma che all’interno dello stato non potrà mai garantire fino in fondo i princìpi cardine della democrazia. Alla luce dello stillicidio quotidiano che ci viene gentilmente offerto dal caso patologico della Roma di Virginia Raggi, il tema su cui vale la pena riflettere non è tanto il suo rapporto con Raffaele Marra o la solidità della sua giunta ma è il rapporto degli eletti grillini proprio con la parola democrazia. Sui giornali di venerdì molti osservatori hanno riportato alcune conversazioni tra il sindaco di Roma e il figlio di Gianroberto Casaleggio e diversi commentatori si sono quasi stupiti nell’apprendere che Virginia Raggi, come ha scritto venerdì Edoardo Izzo sulla Stampa, “fosse sotto la tutela di Davide Casaleggio anche per le questioni di ordinaria amministrazione del Comune”.

 

In realtà per sapere che gli eletti del Movimento 5 stelle siano degli automi privi di autonomia politica non era necessario aspettare la pubblicazione delle chat tra il sindaco di Roma e il figlio di Gianroberto Casaleggio (che ovviamente noi non pubblichiamo) ma era sufficiente fare una cosa molto più semplice ovvero leggere con attenzione il contratto firmato il 20 aprile del 2016 da tutti i candidati al Consiglio comunale di Roma. Quel contratto, come abbiamo raccontato più volte su questo giornale, rappresenta, per il Movimento 5 stelle, un meraviglioso suicidio politico, che dimostra come coloro che guidano il Movimento 5 stelle siano allo stesso tempo degli uomini soli al comando ma anche, si parva licet, degli uomini sòla al comando. Uomini in un certo senso geniali che con un gioco di prestigio, non di certo per tornaconto personale, sono riusciti a dar vita a una grande truffa politica grazie alla quale sono riusciti a spacciare la democrazia diretta non per quello che è, ovvero puro totalitarismo digitale, ma per la più raffinata evoluzione della democrazia rappresentativa. Per fare questo, naturalmente, per riuscire nella meravigliosa truffa, servivano da un lato persone fragili e manipolabili, senza nulla da perdere, e dall’altro una classe dirigente distratta e assonnata, senza nulla da difendere, e fino a che il cinque stelle ha giocato più con gli strumenti della lotta che con gli strumenti del governo la truffa ha funzionato alla grande. Poi però è arrivata Virginia Raggi e il giochino ha cominciato a guastarsi e la sòla ha cominciato a essere palese. E chi si stupisce oggi di fronte alla possibilità che il più importante esponente politico del Movimento 5 stelle, ovvero Virginia Raggi, “fosse sotto la tutela di Davide Casaleggio anche per le questioni di ordinaria amministrazione del Comune” in realtà non ha niente di cui stupirsi perché è stata proprio Virginia Raggi – capolavoro assoluto – ad aver firmato un contratto che certifica la sudditanza. Con quel contratto, come si ricorderà, Raggi da un lato rinuncia a un diritto sancito sia dalla Costituzione (articolo 67, il divieto di vincolo di mandato) sia dall’articolo 3 comma 3 del Regolamento del Consiglio comunale di Roma Capitale (“I componenti del Consiglio comunale e i Consiglieri aggiunti esercitano le loro funzioni liberamente e senza vincoli di mandato”) e dall’altro accetta di avere con i garanti del Movimento 5 stelle un rapporto di piena e orgogliosa subordinazione.

 

Vale la pena riportare un passaggio di quel contratto al punto numero, lettera D. “Le proposte di atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse verranno preventivamente sottoposte a parere tecnico-legale a cura dello staff coordinato dai garanti del Movimento 5 Stelle, al fine di garantire che l’azione amministrativa degli eletti M5s avvenga nel rispetto di prassi amministrative omogenee ed efficienti, ispirate al principio di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione”. Il passaggio è decisivo e ci permette di arrivare direttamente a un’altra questione importante che riguarda ancora Davide Casaleggio. Come ricordato dall’avvocato Venerando Monello in un ricorso presentato al Tribunale di Roma proprio contro la truffa del contratto firmato da Virginia Raggi al momento della sua candidatura, gli atti di alta amministrazione, a differenza degli atti politici, sono soggetti all’obbligo di motivazione previsto dalla legge sulla trasparenza amministrativa (legge n. 241 del 1990) e nel momento in cui un sindaco trasferisce preventivamente il compito di sottoporre allo staff dei garanti del Movimento 5 stelle “questioni giuridicamente complesse” di fatto sta decidendo di affidare a privati cittadini, che non ricoprono alcun titolo o specifica funzione pubblica, funzioni che sono preposte per legge ai dirigenti e all’avvocatura comunale. 

 

Strumenti come il vaglio di appalti pubblici, la gestione delle municipalizzate, il piano regolatore o magari la revoca di un assessore. E non si tratta di una questione tecnica, di cavilli burocratici. Si tratta di una grande questione politica che si trova alla base della truffa della democrazia diretta. Una truffa grazie alla quale i movimenti populisti lasciano credere agli elettori di eleggere sindaci o parlamentari “portavoce del popolo” senza dire che in realtà i portavoce del popolo sono degli eletti che rinunciano ad alcuni fondamentali diritti costituzionali e si muovono da perfetti dipendenti di un blog solo al comando gestito da un comico teleguidato da un’azienda privata non eletta da nessuno. La democrazia diretta, come ci sforziamo di dire da mesi, è in realtà solo ed esclusivamente una democrazia diretta da qualcun altro (“Nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia”, diceva Bobbio). Dove il qualcun altro riesce a imporre i suoi metodi grazie a un sistema perfetto, in base al quale gli eletti nel migliore dei casi non hanno indipendenza e nel peggiore dei casi non sanno nemmeno quello che stanno facendo. Nella storia di Roma però, e nel goffo tentativo di aggirare attraverso il contratto il divieto di vincolo di mandato imperativo sancito dalla Costituzione, emerge però un elemento ulteriore che fotografa bene l’imbroglio della democrazia diretta. Un elemento che riguarda direttamente il ruolo di Davide Casaleggio.

 

La domanda in fondo è semplice e lineare ed è una domanda che immaginiamo stia cominciando a girare anche nella testa degli elettori grillini: ma esattamente che ruolo ha Davide Casaleggio nella galassia del movimento 5 stelle e in base a quale principio un sindaco eletto dagli elettori della sua città dovrebbe essere teleguidato dal capo di un’azienda privata? Nel mondo delle scatole cinesi grilline definire le responsabilità di qualcuno non è semplice, e lo sappiamo. Sappiamo che il titolare del trattamento ai sensi della normativa vigente del blog di Beppe Grillo è Beppe Grillo. Ma sappiamo anche che il suo avvocato, rispetto al blog di Beppe Grillo, dice che Grillo “non è responsabile, né gestore, né moderatore, né direttore, né provider, né titolare del dominio, del Blog, né degli account Twitter, né dei tweet e non ha alcun potere di direzione né di controllo sul Blog, né sugli account Twitter, né sui tweet e tanto meno su ciò che ivi viene postato”. Sappiamo anche che il blog di Grillo dice che il responsabile del trattamento dei dati del blog di Grillo è la Casaleggio Associati srl ma sappiamo anche – immaginiamo in nome della trasparenza e della linearità – che il blog beppegrillo.it è intestato a Emanuele Bottaro, 52enne residente a Modena che lavora per una società di comunicazione e che i dati acquisiti sul blog “verranno condivisi con il ‘Blog delle Stelle’ e, dunque, comunicati alla Associazione Rousseau, che ne è titolare e ne cura i contenuti la quale, in persona del suo Presidente pro-tempore, assume la veste di titolare del trattamento per quanto concerne l’impiego dei dati stessi nell’ambito delle attività del predetto Blog delle Stelle”.

 

Il ruolo di Davide Casaleggio, in tutto questo, non è definito, non è chiaro, non è trasparente. Tutti sanno che il figlio di Gianroberto Casaleggio ha preso in qualche modo il posto di suo padre nella gestione del server grillino. E tutti sanno che in virtù di questa successione dinastica Davide Casaleggio si può anche permettere di teleguidare il sindaco della Capitale d’Italia. Il dato curioso però è che lo stesso Davide Casaleggio, delizia assoluta, ha messo nero su bianco che in realtà lui con il movimento 5 stelle non c’entra praticamente nulla. E’ un passaggio piccolo ma gustoso contenuto in una nota autorizzata depositata il 6 dicembre del 2016 al tribunale civile di Roma con la quale l’avvocato Pier Paolo Polese risponde ancora al ricorso dell’avvocato Monello. “Il ricorrente – scrive l’avvocato di Davide Casaleggio per conto di Davide Casaleggio – ha spiegato il ricorso di cui al presente procedimento nei confronti del Sig. Davide Federico Dante Casaleggio sul fantasioso assunto che lo stesso sia succeduto iure hereditario al padre nel ruolo di Garante del Movimento 5 Stelle”. Fantasioso! “Detta affermazione è per l’appunto del tutto fantasiosa, non veritiera e priva di qualsiasi fondamento logico e giuridico”. Non veritiera! “Ad una semplice lettura del Codice di Comportamento, facilmente reperibile online, è facile comprendere come i Garanti del Movimento 5 Stelle fossero individuati nelle persone di Beppe Grillo e del compianto Gianroberto Casaleggio. A seguito della scomparsa di quest’ultimo è rimasto a ricoprire il ruolo di Garante del Movimento 5 Stelle solo Beppe Grillo. L’odierno resistente non ricopre all’interno del MoVimento 5 Stelle alcun ruolo allo stesso riferibile in relazione al codice di comportamento che il ricorrente intende contestare”. Se fosse vero quello che sostiene l’avvocato di Davide Casaleggio, e non dubitiamo che lo sia perché la linearità e la trasparenza della galassia cinque stelle è ormai un fatto pacifico, per il movimento si aprirebbe una nuova straordinaria fase all’insegna della sincerità. Sappiamo che la democrazia diretta è in realtà una democrazia diretta da qualcun altro, come ci hanno gentilmente dimostrato i sottoscrittori del contratto di Roma, ma ora sappiamo anche che coloro che dirigono la democrazia diretta a 5 stelle ci vogliono dire un’altra cosa altrettanto importante di cui in parte ci eravamo accorti: nessuno è davvero responsabile di quello che succede nel movimento 5 stelle. E’ l’irresponsabilità, bellezza, e tu non ci puoi fare niente – a parte versare 150 mila euro sul democratico conto della Grillo e Associati.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.