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Pera ci spiega perché Forza Italia non deve più mischiarsi con Salvini

David Allegranti

Paradossalmente per Berlusconi sarebbe meglio perdere i ballottaggi di domenica. Altrimenti passerebbe "la linea Toti, che vuole il centrodestra unito" indebolendo così la leadership del Cav.

Roma. “Berlusconi rischia di vincere parecchi ballottaggi. Ma se li vince si strappa i capelli”. Marcello Pera, filosofo, già presidente del Senato, risponde al telefono dalla sua Lucca, dove da qualche tempo è tornato stabilmente a vivere. Osserva con attenzione quello che succede nel centrodestra, ancora a forte rischio di condizionamento salviniano, come dimostra la posizione di Berlusconi sullo ius soli. Senatore Pera, ma perché Berlusconi non dovrebbe essere contento di vincere i ballottaggi di domenica prossima? “Perché così passa la linea Toti, che vuole il centrodestra unito, posizione che verrebbe dunque ingigantita, mentre Berlusconi ne risulterebbe indebolito. Dopo sarebbe difficile per lui giocare su tutti i fronti, come sta facendo ora, con Renzi e Salvini. Credo che Berlusconi sia preoccupato dall’idea di vincere”. Il centrodestra rischia ancora di subire l’egemonia di Salvini? “Probabilmente la proporzione dei voti sarà a favore di Forza Italia, ma il centrodestra potrebbe subire una forte impronta nazionalista e sovranista, che costringerebbe Forza Italia e Berlusconi a convergere su posizioni che non sono le loro. Una volta non ci avremmo lontanamente pensato, neanche ai tempi di Bossi. Purtroppo adesso questo rischio c’è, e Berlusconi non vuole correrlo. Per questo va in soccorso di uno che ha già fallito e che non tornerà mai presidente del Consiglio: Renzi”. Il segretario del Pd non tornerà più a Palazzo Chigi? “No, non lo rivedrà mai, se lo farà raccontare da Maria Elena Boschi, che non credo abbandonerà la sua posizione di governo, per quanto anche lei sia stata al traino di un leader che è caduto subito. In questo, Renzi è stato più bravo di Berlusconi: ha fallito molto prima. Ora, io non so se a Rignano leggono Machiavelli, però non ci vuole molto a capire che se atterri l’avversario ma non gli dai l’ultimo colpo, poi arriva la controrivoluzione. Uno che ha preso il 40 per cento non si mette dopo due anni a trattare con Pisapia. Vuol dire che nel frattempo ha sbagliato. E pensare che aveva l’Italia in mano. Ma Renzi ha dimostrato di non essere né un uomo di strategia né di stato. L’errore del referendum è stato fatale, andava impostato diversamente. Ha dimostrato che non gli interessava la riforma della costituzione, come si era capito subito durante i lavori parlamentari. Ha pensato di creare il partito della nazione partendo dalla presa del potere. Insomma, non aveva capito la riforma o non gli interessava. Esattamente come Berlusconi, quando fece la sua, che era peggio di questa, era un pastrocchio. Ma stavolta si è persa un’occasione storica. Pensi che oggi non ci sarebbe stato il voto di fiducia al Senato, che rende impossibile qualsiasi governo”.

Quindi se il 4 dicembre avesse vinto il Sì, oggi il centrodestra sarebbe stato meno condizionato da Salvini e soci sovranisti? “Sì. Si sarebbe potuto trovare un accordo durante i lavori parlamentari con Forza Italia e andare al voto uniti al referendum. Renzi aveva un alleato potenziale, che aveva pure votato sì inizialmente alla riforma, poi però lo ha perso. Si è dunque trovato con gli avversari interni e ne ha creato uno esterno”. Perché Salvini è un problema per il centrodestra? “Su quasi tutti i temi, dall’Europa all’immigrazione, non c’è coincidenza di posizione. Quelle di Salvini sono posizioni estreme, radicali, non di governo ma per prendere voti. E’ come se a Salvini non importasse niente di governare. Puoi anche vincere, con gli slogan, ma non ci governi. Non in Italia e sopratutto non in Europa. E’ una posizione debole, rafforza i consensi del partito ma non consente ulteriori sviluppi. E questo Berlusconi lo ha ben chiaro. Per questo cerca l’appoggio di Renzi”. Pera non è convinto dell’idea di Toti, che in un’intervista al Foglio qualche settimana fa ha lanciato il partito unico di centrodestra. “Non mi convince, perché non è chiara la posizione. Toti fa finta di non vedere le divergenze. Non vedo una base di governo comune e adeguata ai tempi italiani ed europei. L’Europa non ci farebbe mai governare così, piuttosto s’inventerebbe un Macron, che attualmente non c’è e che dovrebbe essere un figlio della robotica più che della politica; poteva essere Renzi al momento delle elezioni europee vinte”. C’è Calenda, no? “Calenda mi pare un altro Montezemolo, un altro Della Valle. Abbiamo già dato. Non sono persone in grado di mettere insieme un partito, al massimo i Monti, i Passera, i Montezemolo possono essere, o sono stati, nominati dal presidente della Repubblica, ma quando s’è trattato di cercare consenso politico elettorale non ce l’hanno mai avuto. Ci vuole un’altra discesa in campo. Qualcuno si sta preparando. Io terrei d’occhio Cairo, che mi pare abbia statura adeguata e sa il fatto suo”.

 

Vincere senza partito

Dice Pera che la sua Lucca va seguita perché rappresentativa dello stato di salute della politica italiana. “E’ in piccolo un esempio di quello che le dicevo prima. A Lucca non c’è la sinistra renziana, c’è un Pd che è cattocomunista, dove Renzi non è mai entrato nonostante gli sforzi del senatore Marcucci. Qua c’è una sinistra-sinistra con una forte componente cattolica, com’è nella tradizione lucchese. Cattocomunista, insomma, o vescovil-comunista. Dall’altro lato, c’è un centrodestra che senza aver fatto nulla – non ha più la sede e neanche le sedie che avevo acquistato – beneficia di un certo consenso elettorale. Il risultato è drammatico: c’è mezza città che non va a votare. L’affluenza al primo turno è stata del 49 per cento ed è preoccupante, perché senza partiti e senza rappresentanza consiliare la gente poi va per le piazze e le strade. Il centrodestra si ritrova con un voto di opinione, ma i tre partiti che sostengono il candidato sindaco non si sono mai fatti vedere in campagna elettorale”. Insomma, gli elettori di centrodestra vincono, ma senza un partito che li rappresenti: “E’ la storia dell’Italia degli ultimi decenni. Questo è un paese di destra o centrodestra, come lamentava già Bobbio, ma non ha un partito adeguato a raccogliere quella domanda. Lucca è un caso tipico: quei pochi che vanno a votare, votano per tre partiti di centrodestra che non hanno iscritti, non fanno congressi, non hanno personaggi, non hanno segretari. Non si saprebbe neanche dove andare a trovarli. Ed è una situazione rappresentativa di quello che succede a livello nazionale: se Berlusconi fa l’elogio di Calenda significa che non ha nessuno in casa sua. Del resto, se ce l’avesse, non lo vorrebbe. A Lucca è uguale: c’è un deserto e gli elettori votano in maniera inerziale, per affezione di simbolo o nostalgia. Forza Italia ai miei tempi era al 30 per cento, non per merito mio, ora siamo al 9. La città non risponde e non va a votare. Il dramma è che domenica potrebbero andare a votare ancora meno persone. Ma che cosa succede se va a votare meno del 49 per cento?”. I partiti fanno “finta di nulla. Si è creato un sipario fra amministrazione e cittadini, e in questa divisione contano altri poteri, extrapolitici; le banche, le fondazioni, un po’ di massoneria, un po’ di salotti”. Il quadro disegnato da Pera è molto desolante. “Arriverà un Macron, ora però guardo con interesse a Cairo, che è molto più attrezzato rispetto a personaggi che occupano questa area politica. Non so quali siano i suoi tempi, ma gli affari li ha sistemati e potrebbe dedicarsi ad altro. Per il resto, non vedo nascere più niente. In Parlamento sono preoccupati sopratutto di come fare per rientrare nella prossima legislatura… Uno spettacolo incredibile”. E pure il M5s, osserva Pera, “rischia di morire. Non credo che riuscirà a mantenere quel consenso alle prossime politiche. Le porto come esempio di nuovo il mio laboratorio lucchese. CasaPound ha preso quasi l’otto per cento. Vuol dire che il voto giovanile di protesta, che di solito va al M5s, è andato altrove. A Lucca non c’è l’otto per cento di fascisti duri e puri. Non c’erano neanche al tempo del Duce. In altre circostanze, sarebbero stati i Cinque stelle a intercettare la protesta. Però anche loro soffrono le guerre intestine e l’assenza di lavoro sul territorio. Insomma, Lucca è chiusa per restauro. Ma abbiamo il Summer Festival, con un po’ di rock, e ci divertiamo tutti così”. Rock on.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.