Pier Luigi Bersani (foto LaPresse)

Passeggiate romane

La guerra di D'Alema a Bersani e Pisapia e il ruolo di "Vinavil" Prodi

Redazione

A cosa punta l'ex leader dell'Ulivo?

Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema sono a un passo dalla rottura. Una rottura che, per come si sono messe le cose, difficilmente potrebbe essere scongiurata. Indicativi, in questo senso due recenti episodi. Il primo consiste nella dichiarazione fatta a Foggia dall’ex ministro degli Esteri: “Se i pugliesi in massa me lo chiedessero mi sentirei in dovere di candidarmi”. Non si trattava di una frase di circostanza, ma di un annuncio di guerra. Un messaggio ben preciso a Bersani e a quanti, nell’area che fa riferimento all’ex segretario del Partito democratico, non vogliono che D’Alema si candidi per evitare che il nuovo schieramento di sinistra assomigli più a un’accolita di reduci dei Ds, rancorosi nei confronti di Matteo Renzi, che a una nuova formazione politica. Con quelle parole, dunque, l’ex titolare della Farnesina ha voluto chiarire che non accetta nessun veto su questo. Un messaggio rivolto anche a Giuliano Pisapia, visto che anche il leader di Campo progressista non vorrebbe che D’Alema si candidasse alle prossime politiche.

 

Ma c’è anche un secondo indizio del braccio di ferro sotterraneo tra Bersani e l’ex ministro degli Esteri. Domenica, al Brancaccio, alla Convention dei comitati del No al referendum del 4 dicembre, dove D’Alema sedeva in prima fila accanto a Luciana Castellina e a Nichi Vendola, Miguel Gotor è stato sonoramente fischiato e contestato. Il povero senatore non aveva fatto né tanto meno detto niente di riprovevole. Semplicemente, rappresentava Bersani. Qualche giornale ha voluto vedere freddezza e disagio nei rapporti tra D’Alema e i comitati del No. Ma non è così in realtà. I comitati rappresentano la massa di manovra che l’ex ministro degli Esteri intende utilizzare in questa sua guerra a Bersani e Pisapia.

 

In mezzo, tra Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema si trova Roberto Speranza. L’ex capogruppo del Pd alla Camera è in imbarazzo perché è legato a entrambi e non sa bene che pesci pigliare e con chi schierarsi nella guerra interna a Mdp. La ragione gli dice di ostacolare la candidatura dell’ex titolare della Farnesina, ma il cuore sostiene il contrario.

 

Romano “Vinavil” Prodi, nonostante ribadisca a ogni piè sospinto di essere ormai un pensionato, continua a rilasciare dichiarazioni politiche e a lavorare manco tanto nell’ombra per creare un nuovo centrosinistra non più a trazione esclusivamente renziana. In molti si stanno interrogando sulle reali mire del Professore. L’ex presidente della Commissione europea sta forse pensando di crearsi la “base elettorale” per accedere al soglio del Quirinale? Nel Partito democratico ritengono che in realtà il piano del Professore sia più sottile. Stando ai bene informati (o malelingue che siano) del Nazareno, Prodi potrebbe puntare a fare il ministro nel prossimo governo. Un governo, che, vista la probabilissima frammentazione del futuro Parlamento avrà bisogno di personaggi noti, autorevoli e in cui le diverse aree che comporranno l’esecutivo possano riconoscersi. Per intendersi, alla sinistra dentro e fuori del Pd, sarà più facile accettare un governo di unità nazionale con Silvio Berlusconi se in quel consesso ci sarà un personaggio come Prodi, notoriamente lontano mille miglia, politicamente e culturalmente, da Forza Italia. Un ministero di peso adatto al Professore potrebbe essere quello degli Esteri. In quel ruolo Prodi potrebbe rappresentare l’Italia all’estero e rassicurare così i nostri partner internazionali. Ma c’è di più: per l’ex presidente della Commissione europea sarebbe più facile. In un secondo tempo, accedere alla poltronissima del Quirinale dalla Farnesina.

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