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Gentiloni non è Letta

Giuliano Ferrara

L’irragionevole campagna stampa per spingere Paolo a essere Enrico. Perché c’è chi prepara il terreno della zizzania fra Gentiloni e Renzi?

Noi avevamo avvertito: non esiste Enrico Gentiloni, non esiste Paolo Letta. Ma il Notista Collettivo si ostina a non capire. Bisogna mettere della banale zizzania, spingere Paolo a comportarsi come si comportò Enrico. Così scrivono, in questa direzione si muovono, anche troppo apertamente per non essere notati. Vi sembra ragionevole? No che non lo è. E non solo per le differenti personalità, per il fatto che Enrico Letta faceva e fa parte di una coterie di rango ma sempre ispirata al sequestro per sé di ogni possibile programma riformista (parliamo della concezione chiusa dell’ulivismo, con le sue notevoli personalità come Romano Prodi o risalendo nel tempo Beniamino Andreatta); questa congregazione politica bolognese, con la sua protuberanza pisana, è portatrice di una cultura e di un orgoglio semicastale che fanno onore al meglio della sua produzione politica e della sua pratica intellettuale ma chiudono il discorso all’interno di un personale politico particolare, senza aperture a estranei e a progetti in parte diversi. Uno come Renzi, che non ha combattuto Berlusconi con il moralismo e il tintinnio delle manette, non era e non poteva essere, nel loro linguaggio, one of us. Punto.

 

Paolo Gentiloni è un altro paio di maniche. Ha altra formazione, ascendenza romana e rutelliana collaudata nell’esperienza di una doppia sindacatura, una cultura ecologista e riformista costruita al di fuori delle consorterie più radicate nell’establishment, è un aristocratico di recente rango ma di tatto inconfondibile, è uomo prudente nel senso migliore del termine, quando la prudenza non è un dispositivo malizioso, strumento di rapina ed esproprio del terreno politico di amici e avversari, ma un costume, una specie di seconda pelle, una natura tranquillamente esibita, una cosa da professional della politica (di qui l’accusa di “noia”, perché il tipo non è da romanzo sanguinario o da avventura ricca di trabocchetti e agguati). E questo, con doveroso semplicismo e riduttivo, per le differenze di storia e personalità (molto si potrebbe aggiungere).

C’è poi la cosa più importante ancora. L’ingresso dell’Italia politica in un nuovo-vecchio capitolo della sua storia, quello di una Repubblica parlamentare fondata su regole di rappresentanza proporzionali, proporzionali corrette o altro, ma insomma quella è la prospettiva. Molti se ne lamentano. Ma debbono fare i conti con la realtà, altrimenti la lamentela risulta irragionevole, come la pretesa di creare ad arte il terreno della zizzania fra Paolo e Matteo. In linea di principio sarebbe meraviglioso che il paese potesse decidere della politica in un quadro parlamentare tipo Westminster, sebbene la politica abbia appena fatto il brutto scherzo di rivelare certe fragilità anche di quel modello, obbligando una premier britannica fortemente indebolita a un’alleanza maggioritaria farlocca per restare in sella (quella con gli unionisti nord-irlandesi). Ma in linea di fatto, e i principi come diceva Longanesi non devono essere un appoggio per noi, sennò si piegano, tutto è cambiato, e aggiornarsi è di rigore, non per cinismo o rassegnazione, ma per far funzionare l’intelligenza. La storia delle primarie vinte da Renzi, del patto del Nazareno e della riforma elettorale e costituzionale collegate, patto con il quale Enrico Letta fu sloggiato da Palazzo Chigi, essendo del tutto estraneo alla sua logica politica, per non dire altro, non è ripetibile; e infatti il conato nazarenico appena rifluito con un voto qualsiasi in Parlamento verteva su una legge proporzionale e sulla rinuncia a forme repubblicane nuove.
Renzi a buon titolo dice che il capo del partito arrivato primo alle elezioni e perno di una coalizione deve essere anche il capo del governo. Va bene. E’ una pretesa non autoritaria o tracotante, è nelle cose. Ma un governo di coalizione inevitabilmente si fonda, secondo l’antico costume italiano, che non è quello di Westminster e nemmeno quello del Bundestag, sulla mediazione intorno al nome del capo del governo. E’ possibile che Renzi la spunti, dopo le elezioni, che si faranno pare nel 2017, e ogni tanto penso che le rinvieranno ancora finché sia tutto pronto, ma è possibile che non la spunti. Un governo serio bisognerà farlo, e di fronte a spinte in contrario, è ovvio che Renzi dovrà decidere se far saltare il banco, cosa che probabilmente non gli converrebbe, o avere un esecutivo con un presidente che sia espressione del suo progetto o anche del suo progetto politico.
In quel caso è ovvio che Gentiloni diverrebbe il candidato più credibile alla continuità di un progetto e alla sua reviviscenza nelle nuove condizioni di fatto create dal referendum del 4 dicembre, che esso sì, e contro la battaglia di Renzi, non la scelta di Renzi, ha imbragato nelle vecchie regole proporzionaliste da consultellum la Repubblica parlamentare classica in cui torniamo a vivere. I giovani dai 18 ai 34 anni avevano una gran nostalgia della politica dei tempi di Flaminio Piccoli, Mario Tanassi e Luigi Gui, dunque hanno decisivamente optato per un ritorno al passato. Lo dico con ironia, e per vendetta, ma in realtà non esistono ritorni al passato meccanici, e il nuovo giro di giostra avverrà secondo modi e tempi nuovi, ma in quella forma lì, che esclude tiritere, zizzanie e capricci come quelli inverosimilmente attribuiti al fenomeno Gentiloni.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.