Beppe Grillo (foto LaPresse)

Grillo, ma quanto ci costi?

Renzo Rosati

Studiare i mercati di oggi per capire i danni possibili di un improbabile governo M5s. Ecco la vera “decrescita felice” a cui portano populismo e instabilità

Roma. Dieci punti di calo dello spread il 12 giugno, dopo la sconfitta dei 5 stelle alle amministrative; e, ancora più rilevante, discesa di 20 punti base del costo dei Btp decennali. I quali, secondo Tesoro e Banca d’Italia varrebbero 4 miliardi l’anno di risparmio, se venissero mantenuti in modo strutturale. Cifra che aumenterebbe sensibilmente se la variabile grillina scomparisse dai radar dei mercati per le elezioni politiche. Qualche controprova? Prima delle presidenziali lo spread della Francia era salito al record di 75 punti; dopo la sconfitta di Marine Le Pen è precipitato a 35. In questo caso il risparmio dei contribuenti sul costo dei loro Oat decennali è stato messo in cassaforte. Il 15 marzo l’Olanda ha bocciato gli euroscettici di Geert Wilders: 20 punti di spread persi in un giorno e dimezzamento del collocamento del debito nelle tre settimane successive.

Tornando in Italia, da mesi le agenzie di rating segnalano come prima variabile negativa l’instabilità politica. Ad aprile Fitch ha declassato il paese da BBB+ a BBB “a causa dei rischi di un governo debole e dei partiti populisti e euroscettici”. A febbraio Standard & Poor’s citava “il blocco delle riforme e il populismo” tra le cause “di un possibile choc per i tassi d’interesse”; prevedendo una mancata crescita di mezzo punto di pil.

 

Anche qui, piaccia o non piaccia l’ex governo di Matteo Renzi, vengono riscontri oggettivi dal fronte spread. Era sceso ai minimi di 114 punti, pari ad un punto di rendimento dei Btp, a settembre 2016. Quando ha cominciato a materializzarsi la sconfitta al referendum del 4 dicembre lo spread si è inerpicato vertiginosamente, i rendimenti più che raddoppiati. Per essere imparziali va aggiunto che un po’ di calo c’è stato quando l’8 giugno è saltato l’accordo sulle legge elettorale e quindi la prospettiva renziana di elezioni anticipate, con i 5 Stelle avanti nei sondaggi. Ma con eguale equanimità va citata l’analisi sul Sole 24 Ore del 14 giugno di Marcello Minenna, già assessore nella giunta di Virginia Raggi, ed economista accreditato di simpatie per l’abbandono dell’euro. Minenna riconosce che “l’Italexit porta diritti alla ridenominazione in una lira debole di una quota di due terzi del debito pubblico, mentre sull’altro terzo lo stato sosterrebbe un costo per evitare problemi di accesso ai mercati”. Le conseguenze: “Lasciare che il default del debito privato sia gestito dal mercato. Ricapitalizzazione forzata in lire delle banche a cui aggiungere drastiche misure di controllo dei capitali. Precipitare del valore reale delle retribuzioni”. La Grecia: se lo dice lui.

 

D’altra parte il programma a 5 stelle prevede la nazionalizzazione della Banca d’Italia (a carico dei contribuenti) e l’abolizione del divieto per via Nazionale di comprare titoli pubblici invenduti, sempre con denaro pubblico. Ma a proposito di Raggi: il pil pro capite dei romani è finito per la prima volta sotto la media nazionale, nonostante la massiccia presenza di dipendenti pubblici. Il piano triennale presentato dal Campidoglio a novembre ha dimezzato gli investimenti nei servizi pubblici privilegiando i trattamenti ai dipendenti (per la pulizia cittadina le risorse sono passate da 1,5 milioni a 175 mila euro). Aziende come Sky, Mediaset, Esso hanno trasferito le sedi a Milano e Genova. Nel turismo, per dirla con il presidente di Federalberghi Giuseppe Roscioli, “il degrado della città, le strade e i trasporti, la pubblicità mondiale negativa continueranno a far perdere quote che sono invece previste in crescita nelle altre capitali europee, nonostante il terrorismo”. Anche la Cgil ammette: “A Roma non c’è una sola partita che veda il coinvolgimento del Campidoglio in una cabina di regia condivisa con regione e governo. Tutto l’opposto di Milano”.

 

Ricordate i primi meet-up grillini che teorizzavano la “decrescita felice”? Sembrava uno specchietto per le allodole per tifosi del chilometro zero e ideologi anti Tav da tastiera. Beh, eccola la decrescita: la paghiamo noi, mica Beppe Grillo.