Romano Prodi (foto LaPresse)

Prodi e gli altri. La politica del replay

Salvatore Merlo

D’Alema e Berlusconi non se ne sono mai andati, ma la notizia è che torna anche il Professore (con Bazoli)

In Italia quando le cose vanno male di solito si restaura, si rivernicia, si riproduce, ed è quasi un rito apotropaico, uno scongiuro, un esorcismo. “D’altra parte siamo in un’epoca di transizione”, ci dice con tono pratico un grande finanziere sempre molto informato, lui che, innamorato della politica, pensa non sia un male rielaborare il passato, rivitalizzare gli antichi messaggi, persino abbandonarsi se necessario al revival e al déjà vu, “considerato che le cose vanno male e l’incertezza fa inacidire ogni cosa”, aggiunge. E nei momenti di passaggio e di crisi, d’incertezza appunto, si sa, lo spirito, se non soffia dove vuole, si rifugia dove può. Così, mentre dal fondo di un passato remoto e primorepubblicano ri-torna il sistema proporzionale, mentre Silvio Berlusoni si attrezza alla ri-discesa in campo ventitré anni dopo, mentre anche Massimo D’Alema si ri-abbandona a quell’eterno gioco di rancori e vendette che per lui sono allo stesso tempo un propellente (umorale) e un progetto (politico), mentre insomma l’Italia si consegna al re-play, ecco che sotto traccia si muove anche tutto un mondo di potere e di relazioni, un cosmo che si mostra meno di D’Alema e meno di Berlusconi, ma che sempre al déja vu ambisce. Un mondo di sinistra e cattolico, alto borghese e danaroso, influente e salottiero, milanese e internazionalizzato, che tifa per un grosso, tranquillizzante, riconosciuto, abile federatore, insomma un ricucitore, un mediatore, uno che sappia in caso parlare anche con Grillo, se proprio necessario, cioè… Romano Prodi. “La novità è raramente buona, e il buono resta novità per poco tempo”, dice allora il nostro amico finanziere, citando Schopenhauer per alludere ai complicati rapporti tra Matteo Renzi e quella centrale del cattolicesimo finanziario (e politico) che sono ancora adesso Giuseppe Guzzetti e Giovanni Bazoli, banchieri, ottuagenari e irrottamabili. Amici di Prodi. 

   

E il Professore scrive e presenta libri, rilascia interviste, fa capolino in quel genere labirintico del giornalismo che sono i retroscena, viene sempre più spesso evocato nelle conversazioni tra e con i politici, dunque lancia messaggi, avvertimenti, offre consigli, spartisce a mezzadria i torti e le ragioni nel centrosinistra tormentato, sospeso tra Bersani e Pisapia, Renzi e Orlando, divorzi e matrimoni, liti domestiche e tradimenti. E insomma Prodi è fuori, sì, ma è anche dentro. E infatti dice che se Renzi dovesse fare il governo con Berlusconi “io vado altrove”, lasciando anche intendere che con Grillo ci si può parlare – basta saperlo fare – perché Grillo, che corre il rischio “dell’indefinitezza delle proposte”, avrebbe proprio bisogno di qualcuno che metta ordine nel suo magma, nel suo limite di “non aver radici”, dice Prodi, qualcuno come lui, come il Professore, appunto, lui che sapeva tenere insieme Di Pietro e Bertinotti, Veltroni e Marini, D’Alema e Mastella, cani e gatti, volpi e pinocchi.

  

“E in effetti qualcosa si muove”, ci suggerisce il nostro amico bene informato, che descrive un giro vorticoso di incontri salottieri a Milano, di cene, di telefonate, di discorsi dall’aria drammatica e vagabonda che esplodono in propositi sul futuro, “nel caso non improbabile in cui Renzi non ce la faccia a tenere in piedi un governo dopo le elezioni”. Ed ecco allora il giro vorticoso: Alessandro Profumo e Barbara Pollastrini con Pietro Modiano, Enrico Letta e Rosy Bindi, e poi Bazoli e Guzzetti, i due grandi vecchi, “un giro che si è rimesso in moto”, silenziosamente. “Ed è da tutto questo movimento che derivano sia il ritrovato ottimismo di Prodi sia il silenzio tattico di tanti che pensano di poter sorgere come salvatori della patria al momento opportuno”. Ma chi? “Beppe Sala”, il sindaco di Milano che di Bazoli è quasi parente per essersi fidanzato con la figlia. “E Carlo Calenda”, il ministro dello Sviluppo applauditissimo, e pour cause, da Confindustria. E il ruolo di Prodi? “La guida, il garante, il mediatore, il padre. Quello che ha sempre voluto e saputo fare”.

  

E insomma Prodi ritornerebbe a prendere il suo posto di sempre, in un’Italia che disfa e ritesse un mondo dissolto, una specie di società del replay, capace di proporre un futuro che è già passato, che sa di formalina. Verrebbe da dire che è inverosimile, se non impossibile. Eppure oggi la Camera, salvo imprevedibili sorprese, approverà, dopo ventiquattro anni di maggioritario, una riforma elettorale proporzionale. Venerdì Ciriaco De Mita rifonda la Dc. E molto probabilmente un democristiano sarà direttore generale della Rai, come ai tempi di Fanfani. Altro che Prodi, Berlusconi e D’Alema.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.