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L'ircocervo Grillo-Salvini esiste. Parlano Orsina, De Giovanni e Adinolfi

Marianna Rizzini

Rispetto alle ultime elezioni politiche le differenze e le somiglianze tra i partiti corrono lungo la linea del “sì” o del “no” al cosiddetto “partito dello sfascio

Roma. Votare subito o l’anno prossimo, votare con questa o quella legge e con i collegi disegnati così o cosà: tutte incognite dietro le quali spunta un interrogativo: “Esiste e in che forma un nuovo bipolarismo, specie quando la legge elettorale non lo facilita?”. Sabato scorso, su questo giornale, si è parlato dell’eventualità di una scelta di fatto e “alla francese” dell’elettore (cioè anche in contrasto con le indicazioni dai partiti) tra politica in stile “Giano-Bifronte” (scegliere tra convergenza di fatto Renzi-Berlusconi o convergenza di fatto Grillo-Salvini) piuttosto che in stile “vocazione maggioritaria”. Rispetto alle elezioni politiche precedenti, infatti, le differenze e le somiglianze tra partiti corrono lungo la linea del “sì” o del “no” a quello che potrebbe essere considerato il programma del cosiddetto “partito dello sfascio”. Ci si divide e ci trova – nonostante le convergenze negate o dichiarate – attorno a un riflesso anche pre-politico: parlare d’Italia per sparare a zero (sulla casta, sull’Europa, sui partiti, sulle soluzioni o non soluzioni su giustizia e immigrazione) oppure parlare d’Italia a livello di grandi problemi che il leader “responsabile” dovrebbe risolvere (spesa pubblica, liberalizzazioni, giustizia, legislazione sul lavoro, vincoli burocratici eccessivi). In questo senso, si diceva, Grillo e Salvini rappresentano un unico fronte, vista la non-esistenza del centro-destra unito che fu e vista la difficoltà, per la sinistra italiana “à la Mélenchon”, di trovare convergenze con la sinistra italiana “à la Macron”. Ma quanto sono davvero fronte unico, di fatto, Grillo e Salvini?

 

Giovanni Orsina, docente di Storia Contemporanea alla Luiss di Roma, dice che, “a grandi linee, una convergenza di fatto esiste, anche se per verificarsi davvero devono esistere alcune condizioni. Grillo e Salvini sono, sì, entrambi un po’ trumpisti, un po’ putinisti e molto poco merkeliani. E c’è, sì, una comunanza di punti di vista anche alla base, tra gli elettori di entrambi gli schieramenti – con i Cinque Stelle che sfondano al Sud e la Lega al Nord. Vedo alleanze negative, vedo somiglianze tra toni fortemente critici, ma le convergenze tra elettori non sono necessariamente convergenze ai vertici. Il Movimento Cinque Stelle, rispetto alla Lega, è proteiforme. E penso che la vera cosa preoccupante sia che, dall’altra parte, abbiamo due leader già sconfitti. Berlusconi e Renzi non sono Merkel e Macron. Abbiamo una ex promessa brillante e un usato non così sicuro. Bisogna vedere se l’elettore, al dunque, non considererà il partito unico dello sfascio come partito unico della novità. E se al dunque prediligerà davvero la scelta di responsabilità”. Per il filosofo Biagio De Giovanni tutto dipende dai tempi: se si votasse ora, dice, con i due leader populisti scatenati e la sinistra Pd e non Pd in “situazione di stallo”, non ci sarebbe il tempo di “far sedimentare le argomentazioni della cosiddetta ‘scelta di responsabilità’”. Per affossare le leadership populiste ci vorrebbe, dice De Giovanni, “una campagna elettorale non breve, modello campagna del 1948. Ho sempre pensato: gli italiani, se hanno tempo per capire, alla fine non votano male. Ma ne avranno il tempo, questa volta?”. Poi c’è chi, come il politologo Massimo Adinolfi, vede “realistica l’ipotesi” della impossibilità di un governo di centrosinistra, con alleanza tra Pd e sinistre extra-Pd, e pensa anzi “che l’elettore, di destra e di sinistra, “non veda bene” l’affermazione di un nuovo “bipolarismo di fatto: ci sono oggi due destre e due sinistre, e un sistema che in astratto potrebbe configurarsi come quadripolare”. Il vero punto di rottura nella lotta politica odierna, dice Massimo Adinolfi, è “attorno al concetto di mediazione politica, tra forze che accettano e forze che rifiutano l’idea stessa della mediazione”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.