Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

Ragioni per schiaffeggiare la repubblica giudiziaria fondata sullo sfascio

Claudio Cerasa

Il pil va meglio del previsto, l’export continua a guadagnare quote di mercati, i consumi migliorano, i crediti deteriorati sono ai livelli pre crisi. Perché la più grande balla raccontata agli italiani è quella relativa alla sua condizione economica del paese

Per raccontare una menzogna non è sempre necessario raccontare una bugia o inventarsi una balla. A volte è sufficiente nascondere la realtà e costruire una verità alternativa con il più semplice dei mezzi a disposizione: non mostrare le cose per quelle che sono.

 

Negli ultimi mesi, in Italia, la più grande balla raccontata agli elettori e ai lettori è stata quella relativa alla sua condizione economica e per una serie di ragioni che forse un giorno varrà la pena mettere insieme la grancassa del circo mediatico si è rifiutata di mostrare le cose per quello che sono e ha accettato di veder affermare giorno dopo giorno una verità alternativa sulla quale in molti (politici, giornalisti, scrittori, magistrati) hanno costruito la propria grassa fortuna. La verità alternativa prevedeva uno schema di questo tipo. Il paese in cui vi trovate, siore e siori, vive in un’emergenza senza precedenti. In questo paese, siore e siori, è tutto allo sfascio, tutto è in malora e tutti sono corrotti. Per risolvere quest’emergenza, siore e siori, non basta evidentemente solo rinnovare il sistema, ma è necessario fare qualcosa di più: cambiare il sistema nel suo complesso, affidandosi a un nuovo e fantastico regime guidato non più da una corrotta repubblica parlamentare ma da una avveniristica repubblica giudiziaria.

 

Joseph Göbbels, gerarca nazista e maestro della menzogna, suggeriva di ripetere una bugia cento, mille, un milione di volte per farla diventare una verità. E come tanti topolini ipnotizzati dai pifferai della post verità, negli ultimi mesi molti osservatori, i così detti professionisti del malumore, si sono rifiutati di spiegare quello che prima o poi sarà evidente a tutti: non esiste l’Italia dello sfascio, non esiste l’Italia sull’orlo di un burrone, non esiste l’Italia pronta a consegnarsi ai nuovi ayatollah della menzogna.

 

Esiste un’Italia che certamente cresce meno del resto d’Europa ma che comunque da mesi non smette di offrire segnali incoraggianti. Il prodotto interno lordo va meglio del previsto, è in accelerazione e ieri ha fatto segnare la sua migliore performance dal 2010 a oggi (primo trimestre più 0,2 per cento, crescita annuale più 1,2 per cento). L’export continua a guadagnare quote di mercati. I consumi migliorano. I crediti deteriorati sono ai livelli pre crisi. Nel quarto trimestre del 2016 le convenzioni notarili di compravendite di unità immobiliari sono cresciute del 10,3 per cento rispetto all’anno precedente mentre quelle per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni hanno registrato un incremento dell’8,1 per cento rispetto al quarto trimestre del 2015. Si potrebbe andare avanti ancora per un bel po’ (per tutto il resto leggete il professor Marco Fortis sul nostro giornale) ma il dato significativo che emerge dalla fotografia del nostro paese è che in questo momento esiste uno scontro chiaro e ben definito tra due modelli d’Italia. Una ha interesse a coltivare il mercato del malumore per combattere la globalizzazione e alimentare il partito dello sfascio. L’altra prova a combattere il mercato del malumore tentando di governare la globalizzazione. Una ha interesse ad affermare l’idea che l’Italia abbia bisogno di poteri speciali e di commissari speciali per governare un paese fatto sostanzialmente di corrotti, di ladri e di farabutti. L’altra tenta di dimostrare che l’Italia è un paese che va migliorato non affidando la nostra esistenza a una democrazia giudiziaria ma creando le migliori condizioni per liberare le migliori energie del nostro paese.

 

In tutta Europa lo scontro tra apertura e chiusura è uno scontro che verte prevalentemente sull’economia. In Italia lo scontro tra partiti dell’apertura e partiti della chiusura è uno scontro tra visioni diverse dell’economia ma è prima di tutto uno scontro diverso su un’idea di stato di diritto. Tra chi sogna di affidare l’Italia a una banda di incompetenti pronti a mettere le chiavi del paese nelle mani dei veri poteri forti (perfettamente rappresentati da quei magistrati politicizzati che di fronte ai giornalisti amici raccontano di non voler fare politica mentre magari parlano di politica a un convegno organizzato da un partito politico) e chi prova a ribellarsi a questo progetto eversivo e anti democratico rifiutandosi di abbracciare l’agenda Tafazzi e cercando di descrivere il nostro paese per quello che non è. Descrivere il nostro paese per quello che è non è una condizione sufficiente per evitare lo sfascio, ma è una condizione certamente necessaria per raggiungere un risultato importante: difendere la dignità del nostro paese contro i professionisti delle fregnacce.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.