Luigi Di Maio alla presentazione del libro di Vito Cozzoli "Sviluppo e Innovazione" (foto LaPresse)

Le formidabili proposte di Di Maio per far ripartire l'Italia. Auguri!

Luciano Capone

Dalla legge di Stabilità alle banche. Ogni intervento pubblico del vicepresidente della Camera è un’occasione per capire cosa faranno i 5 stelle una volta al governo e come intendono risolvere i principali nodi economici del paese 

Roma. Con le elezioni alle porte ogni intervento pubblico di Luigi Di Maio è un’uscita da statista, un’occasione per capire cosa faranno i 5 stelle una volta al governo e come intendono risolvere i principali nodi economici del paese, dalla legge di Stabilità ai problemi delle banche. E così un pezzo da repertorio per immaginare un futuro sotto le 5 stelle è l’intervista dell’eventuale prossimo presidente del Consiglio a “DiMartedì” di Giovanni Floris. L’intervento di Di Maio può essere diviso in una parte di “visione” di lungo periodo e in una di interventi urgenti di breve termine. Nel primo caso ci sono le proposte per “convertire il parco auto in auto elettriche, investire nelle rinnovabili, investire nel ciclo dei rifiuti, per fare una rivoluzione energetica, ambientale e lavorativa”. Sono tutte politiche di spesa, che non si sa come verranno finanziate. Probabilmente battendo i pugni in Europa: mettendo sul tavolo un “referendum consultivo sull’euro” e nel frattempo, cioè nell’anno che serve per approvarlo, contrattare una “riforma del Fiscal compact, del Quantitative easing e dei trattati che distruggono l’agricoltura”, tutte a favore dell’Italia. In pratica la strategia è quella di puntarsi una pistola alla tempia e minacciare di spararsi se i partner europei non consegneranno la borsa. Auguri.

 

A fianco alla parte da teorico dei giochi che si avvicina alle vette di astuzia del miglior Yanis Varoufakis, Di Maio risponde anche sulle soluzioni immediate e di breve periodo. Innanzitutto la legge di Stabilità, che dovrà essere approvata immediatamente dopo le ipotetiche e probabili elezioni di settembre: il governo Di Maio riuscirà a “rassicurare sia i mercati sia i cittadini” evitando una manovra “lacrime e sangue con reintroduzione dell’Imu o aumento dell’Iva” come quella che farebbero gli altri partiti. Ma, chiedono Floris e Massimo Giannini, dove trovate i 20 miliardi per disinnescare l’aumento dell’Iva previsto per il 2018 dalle clausole di salvaguardia e per le spese più urgenti? “Recuperare risorse che si disperdono nel bilancio dello stato”, dice Di Maio, limitandosi a citare due esempi che non sono certo esaustivi della potenza d’intervento del M5s ma quantomeno della capacità di discernimento: “Tagliando con un decreto i consigli d’amministrazione delle partecipate che costano 9 miliardi e recuperando 10 miliardi dalla lotta alla corruzione”.

  

Accorpando le partecipate, dice Di Maio, si possono recuperare 9 miliardi solo tagliando i posti nei cda, quelli “degli amici degli amici”. Si tratta di una cifra ambiziosa, soprattutto perché secondo il dettagliato rapporto sulle partecipate dell’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli in Italia “ci sono circa 37 mila cariche nei consigli di amministrazione delle partecipate” il cui costo per il settore pubblico “è stimabile in circa 450 milioni”. Se tutti i membri dei cda lavorassero gratis, si recupererebbe una cifra esattamente 20 volte inferiore a quella messa a bilancio da Di Maio. E non sarebbero risorse che andrebbero al governo, perché nella stragrande maggioranza dei casi le partecipate non sono statali, ma di proprietà degli enti locali, comuni e regioni.

 

L’idea invece di mettere in legge di Stabilità tra le entrate “10 miliardi dalla lotta alla corruzione” verrebbe accolta con una pernacchia dalla Ragioneria dello stato e una risata dalla Commissione europea (ma a quel punto potremmo battere più forte i pugni sul tavolo o spararci l’uscita dall’euro). In ogni caso il costo della corruzione è un costo per l’economia, ma non una grandezza contabile da poter mettere preventivamente a bilancio (questo anche fuori dall’Europa).

 

Nell’immediato Di Maio intende poi cambiare i vertici di Consob e Bankitalia (entrambi in scadenza), “ma prima di tutto dobbiamo tirare fuori dalla Banca d’Italia le banche private”. La brillante idea di Di Maio di statalizzare un istituto di diritto pubblico, cioè di far comprare allo stato un ente già sotto controllo dello stato, costerebbe 7,5 miliardi di euro, ovvero il valore del capitale della Banca d’Italia. Si tratterebbe di un regalo alle banche private – dalla grande Intesa Sanpaolo alla piccola cassa di risparmio di Saluzzo – che cederebbero le quote di partecipazione al capitale in cambio di denaro fresco. A meno che il Di Maio premier non stia pensando a un esproprio, una mossa che sarebbe illegale in qualsiasi paese diverso dal Venezuela e che in ogni caso, a causa dell’incertezza prodotta, potrebbe mandare gambe all’aria le banche. Ma niente paura per i risparmi, perché Di Maio ha la soluzione anche per gli istituti in crisi: “Le banche da salvare devono diventare banche dello stato, così a quel punto le banche diventano strumenti per erogare prestiti a famiglie e fidi alle imprese”. Ancora auguri.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali