Beppe Grillo (foto LaPresse)

Molti talk-show, pochi voti. Ragioni per dubitare anche in Italia dell'onda populista

Claudio Cerasa

Torino e Roma, ok. Ma siamo davvero sicuri che il Movimento 5 stelle non sia una bolla simile a quelle già viste in Francia e Olanda? I numeri del 2016, quelli del 2017, il trend europeo. Il voto anticipato nasce anche da qui

L’egemonia c’è, i voti no. E forse a fine giugno sarà chiaro anche in Italia che il governo Di Maio, in fondo, non è altro che una grande e gigantesca fake news. Proviamo a mettere le notizie una accanto all’altra, riavvolgiamo il nastro degli ultimi ventiquattro mesi dell’Europa e arriviamo a un piccolo ma significativo appuntamento elettorale, che è quello delle amministrative del prossimo 11 giugno, che potrebbe aiutarci a capire se davvero, come sospettiamo, le forze anti sistema, nel nostro paese, funzionano bene più nei sondaggi che alle elezioni.

 

Dal 2015 a oggi, in Europa, si è votato in molti paesi e in tutte le realtà in cui gli elettori sono andati alle urne per scegliere i loro governanti e i loro presidenti i risultati sono stati segnati da un’unica e omogenea caratteristica: i populisti hanno perso sempre. Nel 2015 si è votato in Grecia per le politiche, in Finlandia per le politiche, in Portogallo per le politiche, in Estonia per le politiche, in Danimarca per le politiche, in Polonia per le politiche, in Spagna per le politiche e in nessuno di questi paesi, nessuno, nonostante lo scetticismo preventivo di molti osservatori, si è affermato un leader anti sistema. Persino Alexis Tsipras, vero leader anti sistema che l’anno precedente aveva sfidato l’Europa e la Troika con il referendum sul memorandum greco, alle elezioni del 2015 si è presentato, vincendo, con una piattaforma europeista, oggi apprezzata persino dalla Troika. L’anno successivo, 2016, la storia si ripete: si vota per le politiche in Macedonia, a Cipro, in Islanda, in Montenegro, in Romania, in Serbia, in Slovacchia, in Scozia di nuovo in Spagna e per le presidenziali in Austria, in Islanda, in Portogallo e in nessuna di queste elezioni le forze anti sistema riescono ad affermarsi e persino nella Spagna in teoria martoriata dall’austerity e nel Portogallo in teoria piegato dal rigore alla fine vincono le forze tradizionali e ultra europeiste. E nel 2017, lo stiamo vedendo in queste settimane, stessa storia. In Olanda i populisti avrebbero dovuto fare il botto, e invece niente. In Francia i populisti avrebbero dovuto ribaltare un paese, e invece niente. In Serbia le forze anti sistema avrebbero dovuto mettere a ferro e fuoco un paese, e invece niente. In Bulgaria, dove si temeva l’affermazione del partito filorusso, i conservatori hanno vinto alla grande. 

 

  

In Germania, dove si voterà a settembre, le forze anti sistema sono entrate in crisi prima ancora delle elezioni. In Inghilterra, nonostante la Brexit, il partito che avrebbe dovuto rivoltare l’Europa come un calzino, l’Ukip, vale poco più del partito di Angelino Alfano. A Malta, dove si voterà il 3 giugno, stessa storia. In poco più di due anni, dunque, l’Europa che avrebbe dovuto essere la culla dei nuovi populismi è stata invece la culla della riscossa degli anti populismi e le prossime settimane potrebbero dimostrarci che forse l’emergenza populismo anche in Italia è stata ampiamente esagerata. Dici populismo, in Italia, e dici in realtà due cose diverse.

 

Dici Movimento 5 stelle e Lega nord. Ma in entrambi i casi, anche sommando i due partiti, siamo proprio sicuri che in Italia sia imminente un’ondata di populismo vincente? O non staremo forse esagerando, come già abbiamo fatto negli ultimi anni osservando le campagne elettorali di altri paesi europei, sulla reale forza dei partiti anti sistema? Al momento, a parte i sondaggi, mettendo da parte la Lega, sulla quale torneremo più avanti, il Movimento 5 stelle viene considerato da tutti una forza molto minacciosa, e meno fragile degli altri populisti, sostanzialmente per due ragioni. Prima ragione: i sondaggi, i quali indicano che il Movimento 5 stelle sarebbe il primo o il secondo partito d’Italia. Seconda ragione: le vittorie ottenute alle amministrative del 2016. Quello che sappiamo davvero, però, è che (a) negli ultimi anni i sondaggi nazionali hanno sempre sovrastimato il Movimento 5 stelle (vedi le europee del 2014) e hanno sempre sottostimato gli altri partiti (anche il Pd) e che (b) le elezioni del 2016 hanno visto i grillini trionfare in due importanti città (Roma e Torino) ma non hanno in alcun modo visto i grillini trionfare genericamente alle elezioni. E lo stesso, in modo ancora più evidente, potrebbe capitare al prossimo giro di amministrative, a partire dall’11 giugno. Nel 2016 il Movimento 5 stelle ha conquistato 19 dei venti ballottaggi in cui è arrivato ma sui 1.342 comuni andati al voto in realtà, dato che spesso viene messo da parte, il Pd ha vinto in 800 comuni al primo turno, arrivando al ballottaggio in 83 dei 111 comuni andati al secondo turno, mentre il centrodestra è arrivato in 54 dei 111 ballottaggi totali e alla fine dei conti nei 20 comuni capoluogo in cui si è votato, in quell’occasione, il centrosinistra ha vinto in 5 città, il centrodestra in 9, il Movimento 5 stelle in 3 e gli altri partiti di centro e di sinistra in altri 3. Sempre in quelle elezioni l’Istituto Cattaneo, prendendo in considerazioni i voti di 19 comuni capoluogo di provincia e aggregando le liste sulla base dell’area di appartenenza, ha stimato il valore reale dei voti di “centrosinistra” (34,3 per cento), dei voti di “centrodestra” (29,5 per cento) e dei voti del Movimento 5 stelle (21,4 per cento). A voler fare un calcolo spericolato, 2 elettori su dieci hanno scelto il Movimento 5 stelle, 8 elettori su 10 hanno scelto altri candidati. Un anno dopo la situazione potrebbe essere anche più diversa. L’11 giugno (ballottaggio domenica 25 giugno) saranno chiamati al voto 1.021 comuni, 796 appartenenti a regioni ordinarie e 225 a statuto speciale, e si andrà alle urne in 25 comuni capoluogo di provincia. Si vota a Trapani, Palermo, Catanzaro, Taranto, Lecce, Frosinone, Oristano, Rieti, L’Aquila, Pistoia, Lucca, La Spezia, Genova, Verona, Padova, Gorizia, Belluno, Lodi, Monza, Como, Piacenza, Parma, Alessandria, Cuneo, Asti e in nessuno dei grandi comuni (tranne forse Taranto) un cinque stelle sembra essere destinato ad arrivare neppure al ballottaggio. I dati e i numeri sono questi.

 

Il trend è oggettivo. L’anti europeismo non funziona. Il populismo non sfonda. Il lepenismo batte in ritirata (la Lega è ormai più lepenista di Le Pen, quando si dice il tempismo, e per fortuna i saggi governatori leghisti, quando arriverà il momento giusto, commissarieranno il segretario della Lega, a partire dall’euro). In Europa le forze anti sistema somigliano sempre di più a un palloncino gonfiato che giorno dopo giorno perde aria da tutte le parti. L’egemonia c’è, i voti no. E forse a fine giugno sarà chiaro anche in Italia che il governo Di Maio in un modo o in un altro non ci sarà. Non ci sarà nelle grandi e piccole città (e questa sarà una ragione in più che porterà il Pd e Forza Italia a spingere per le elezioni anticipate, prima che il filotto anti populista possa essere guastato da un risultato negativo in Sicilia). E se Berlusconi e Renzi dimostreranno di non avere intenzione di inseguire i populisti, e inizieranno a parlare rapidamente in tedesco, il governo Di Maio tornerà presto nella sua giusta dimensione: quello delle grandi e gigantesche fake news.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.